Moltissimi se lo auguravano ma pochissimi credevano che Matteo Renzi dopo il 4 marzo si sarebbe davvero fatto da parte come “semplice senatore di Scandicci”.

Eppure era perfino ragionevole pensarlo dal momento che come segretario del PD si era rifiutato di dar vita al confronto sulle cause della sua disfatta elettorale, una disfatta che però ha umiliato il partito facendolo piombare in uno stato confusionale e di angoscia.

Qualunque persona di buon senso, con un modesto QI ed un po’ di spirito critico, non si sarebbe sottratta al confronto per analizzare e capacitarsi di quel risultato e chiedere scusa per gli errori commessi.

Ma al Dulcamara di Rignano difettano umiltà e lucidità, e soprattutto non sa cosa voglia dire confrontarsi con chi la pensa in modo diverso.

In compenso, però, da prova di essere così superdotato di egocentrismo, spocchia, strafottenza, avventatezza, immodestia, da essere cieco e sordo a tutto ciò che accade nel mondo reale.

Lo si era già intuito dopo lo smacco precedente, quello referendario, che ancor più era caratterizzato come una sua sconfitta perché proprio lui aveva proposto e vissuto il referendum come una sfida personale.

Anche allora fu incapace di decifrare il risultato delle urne e di trarne le logiche conseguenze.

Per di più, in quella occasione, dimostrò tutta la sua inaffidabilità rimangiandosi con i fatti le molte dichiarazioni rilasciate:


1. 20 gennaio 2016: “Nel caso in cui perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza politica. Credo profondamente in un valore che è il valore della dignità. Io non sono come tutti gli altri”.

2. 8 maggio 2016: “Non è personalizzazione ma serietà. Se io perdo con che faccia rimango? Ma non è che vado a casa, smetto proprio di fare politica”.

3. 1° giugno 2016: “Se perdo il referendum troveranno un altro premier ed il PD un altro segretario”.


Insomma, un bugiardo patologico però con una sconcertante faccia tosta con la quale è andato in giro, tronfio e compiaciuto, asserendo che il 40% degli italiani, che aveva votato “SI” al referendum, secondo lui, sarebbe stato dalla sua parte come alle elezioni europee.

Una decodificazione puerile ed insensata da lasciare sbigottiti.

Ma Renzi c’è o ci fa ?

Naturalmente fece il bel gesto formale di rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio ma, con il silenzio assenso del Capo dello Stato, impose che nel nuovo Esecutivo restassero i suoi valletti come ministri.

Ministri che lui avrebbe continuato così a comandare a bacchetta.

La stessa commedia delle dimissioni illusorie si è puntualmente ripetuta anche dopo il 4 marzo.

È sotto gli occhi di tutti, infatti, che dopo il tracollo elettorale Renzi, pur rassegnate le dimissioni da segretario del PD, continua di fatto a tenere in ostaggio il partito ed a condizionarne le scelte, avendo in pugno i tanti peones Dem che anche in Parlamento sottostanno servilmente alle sue direttive.

Cosa frulli in questi giorni nel cervello del rignanese è impossibile decifrarlo anche perché, da ragazzino viziato e capriccioso, è convinto che la politica debba orbitare intorno a lui ed alle sue paranoie.

È come un cane rabbioso pronto a mordere chiunque tenti di portargli via l’osso, e l’osso di Renzi è la smania di potere.

Di certo sta soffrendo le pene dell’inferno nel constatare che da settimane l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sia concentrata su altri attori politici, e lo manifesta con la ossessione patologica di imporre al PD il ritiro sul Aventino.

L’Aventino non è altro che il suo affannoso ed infantile bisogno di poter fare ancora notizia.

Renzi, infatti, affetto da smania di protagonismo, nel rendersi conto che la sconfitta elettorale lo ha tagliato fuori dalla attualità politica e temendo che questa emarginazione possa durare a lungo, reagisce come sa con modi cocciuti e stizzosi.

Ora, con il via alle consultazioni la palla passa a Sergio Mattarella che potrebbe tentare di convincere il PD ad abbandonare l’Aventino ed a rientrare in gioco per la formazione del governo.

Un’impresa non da poco, difficile per il Capo dello Stato che dovrà sfidare e sgonfiare le bizze del rignanese.