Un'operazione nata all'alba e abortita prima di cena. Tanto è durato l'emendamento infilato nel decreto‑legge Infrastrutture per tentare di ritoccare verso l'alto i pedaggi autostradali di un misero — ma politicamente esplosivo — un millesimo di euro al chilometro (uguale per tutte le classi di veicolo). Obiettivo dichiarato: trovare i 90 milioni che servono ad Anas per coprire costi in crescita e gestire le ex provinciali passate allo Stato. Risultato finale: uno scontro in piena regola dentro la maggioranza, con la premier Giorgia Meloni infuriata, il vice‑premier Matteo Salvini costretto a frenare l'idea che lui stesso aveva caldeggiato, e l'opposizione che intona il coro «tassa sulle ferie» mentre agita vecchi post social sia di Meloni che di Salvini contro i rincari dei pedaggi.

Scena 1, mattina. I relatori del dl Infrastrutture — due deputati di Fratelli d'Italia (Massimo Milani e Antonio Baldelli), uno di Forza Italia (Francesco Battistoni) e la leghista Elisa Montemagni — firmano la proposta. Il testo è secco: dal 1 agosto +0,001 €/km su auto, moto, Suv & Co.; adeguamento biennale agganciato all'inflazione. Tradotto per l'utente: 26 centesimi in più sulla Roma‑Firenze, 76 centesimi sulla Milano‑Napoli, un euro scarso per chi sfiora il migliaio di chilometri.

Scena 2, tarda mattinata. L'opposizione sente odore di benzina e accende il cerino: «Ecco la tassa sulle vacanze», «Il governo fa cassa sulle ferie». Schlein, Conte, Renzi, Bonelli — tutte le tastiere entrano a regime... in servizio permanente. Fioccano screenshot e video del 2018 in cui Meloni e Salvini tuonavano contro i rincari ai caselli. Il tam‑tam social funziona: l'operazione diventa politicamente tossica in poche ore.

Scena 3, pomeriggio rovente. Dalle retrovie trapela che FdI era già freddino, ma aveva ceduto «per tenere unita la coalizione». Ora che i riflettori sono puntati, i maldipancia diventano conati. Salvini, regista dell'emendamento, fiuta la bufera e prova la piroetta: «Chiederò ai relatori di ritirare la norma, anche se eravamo tutti d'accordo». Una nota del Mit tenta di minimizzare l'impatto sui portafogli, ma è tardi: la frittata è fatta e il vice‑premier deve ingoiare il suo stesso provvedimento.

Scena 4, sera. I relatori formalizzano il ritiro. Sipario, gli strappi restano: Meloni irritata per l'improvvisata, Salvini irritato perché costretto a smentirsi, i partiti di maggioranza che si rinfacciano la figuraccia. E Anas? Rimane col buco di bilancio.

Nel dossier si legge che negli ultimi tre anni lo Stato ha dovuto ricoprire i conti di Anas con "norme ad hoc" e fondi di emergenza, complici l'allargamento della rete in gestione e l'impennata dei costi energetici (illuminazione in testa). L'emendamento voleva trasformare le pezze in finanziamento stabile, scaricando però il conto sugli automobilisti, proprio all'avvio dell'esodo estivo. Scelta tecnicamente difendibile, ma politicamente suicida.

E adesso? Il fabbisogno di Anas resta lì, intatto. Qualcuno dovrà pagarlo: o il Tesoro con nuovo debito, o gli utenti con una formula meno impopolare ma ugualmente gravosa (magari sparpagliata su accise o canoni indiretti). Nel frattempo l'episodio manda un messaggio chiaro: sulla manutenzione delle strade e sulle politiche tariffarie il governo non ha ancora una linea condivisa. E se bastano tre zeri dopo la virgola per far saltare i nervi a tutti, gli 11 mila chilometri di rete gestiti da Anas possono dormire sonni poco tranquilli.

Infine, c'è un'ultima considerazione legata a quanto accaduto. Se il governo Meloni non sa dove trovare 90 miseri milioni per asfaltare qualche strada secondaria, dove diavolo pensa di trovare le decine di miliardi per aumentare la spesa militare per cui la premier si è impegnata con la NATO per fare bella figura con Trump... lasciando intatta la spesa sociale? Mistero...