Esuberi alla Nokia, esuberi alla Melegatti, esuberi alla Perugina, licenziamenti alla Erissson, esuberi in Abruzzo, licenziamenti SDA, licenziamenti Sky... Queste solo solo alcune delle vertenze, le più aggiornate, che riguardano crisi aziendali, razionalizzazioni e trasferimenti. Vertenze che, qualunque sia la loro origine vedono i lavoratori protagonisti... in negativo perché alla fine dei conti è il loro posto di lavoro quello che viene messo in discussione. E in molti casi, tutto ciò non riguarda solo piccole aziende, ma anche aziende nedie e grandi, in molti casi pure multinazionali, che gestiscono anche marchi conosciuti.

Eppure, l'Istat ci fa sapere che "in un quadro economico internazionale favorevole, si rafforza la crescita dell'economia italiana, sostenuta dal settore manifatturiero e dagli investimenti."

Non solo, l'Istat ci informa anche che "prosegue il miglioramento dell'occupazione, che interessa anche i giovani e le donne. L'indicatore anticipatore torna ad aumentare rafforzando le prospettive di crescita a breve termine". Evviva!

Però, che almeno Istat, sindacati e aziende aprissero un tavolo comune per spiegarci come tutto questo bengodi illustrato dal nostro istituto nazionale di rilevamento dati possa coincidere con la situazione del paese che, pur essendoci indicata come positiva, refgistra molte vertenze sindacali in atto.

Nella nota mensile di settembre 2017, l'Istat ci comunica un quadro internazionale, dal punto di vista dell'economia, in forte crescita. Il Pil di Giappone, Usa, Gran Bretagna e Stati Uniti è ampiamente positivo con una tendenza costante ad ulteriori miglioramenti.

Non da meno il cosiddetto indicatore del "sentiment" associato all'economia. Il clima di fiducia tra imprese e consumatori aumenta e per il futuro tutti vedono rosa.

Poi, però quando si vanno ad analizzare più in dettaglio i dati concreti relativi a questo nuovo benessere, si vede che i grafici, che in precedenza puntavano dritti versn nuove vette, cominciano invece a stentare, mostrando qualche crepa.

Ad esempio, gli investimenti, che dovrebbero far da traino all'espansione economica, mostrano degli indicatori, nei vari settori, piuttosto altalenanti e tendenti a livelli che potremmo definire stabili.

Ma anche altri dati lasciano qualche perplessità. Ad esempio, servizi e industria mostrano un andamento di crescita positivo, ma molto lento. Però, contestualemente, si è allargato enormemente il divario con il settore delle costruzioni (che un avolta era definito il traino per la crescita di un Paese) che tristemente continua a mantenersi sugli stessi livelli del 2014, pure leggermente in calo.

E se aumenta la spesa delle famiglie è perché dal 2016 diminuisce dello stesso livello la loro propensione al rispsarmio. E che dire dell'occupazione! Aumenta, ma come dimostrano i dati degli ultimi 12 mesi, non è quella permanete a prevalere, ma solo quella a tempo determinato, sconfessando, al di là di quello che ci viene invece detto, tutte le meraviglie del Jobs Act.

E che la stabilità della crescita sia fittizia, almeno secondo i parametri della BCE, lo confermano i prezzi al consumo che invece di crescere diminuiscono, soprattutto in Italia, dove le politiche economiche sono incentrate soprattutto sui bonus e non sugli investimenti.

Ma, sempre secondo l'Istat, "le aspettative di crescita per i prossimi mesi appaiono favorevoli: a settembre l’indice del clima di fiducia dei consumatori ha registrato un incremento significativo, trainato dai miglioramenti dei giudizi sulla situazione economica italiana (giudizi, si badi bene) e dalle aspettative sulla disoccupazione (creftai dai miglioramenti dei dati sulla occupazione... a termine).