di Lucia De Sanctis e Lizbeth Kane Palmer

Vincenzo Musacchio, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.  

 

Su alcuni giornali internazionali si è tornati a discutere di come l’Italia abbia gestito l’emergenza Coronavirus. Professore secondo lei che cosa sta accadendo in Italia?

Per capire la situazione creatasi in Italia ritengo si debba partire da un tema centrale: l’esercizio della democrazia nello Stato di diritto. In uno Stato democratico di matrice solidaristico sociale, come dovrebbe essere il nostro, il valore dell’uomo non può non essere il fine dell’ordinamento giuridico e mai può divenire il mezzo. Dignità umana, eguaglianza, non discriminazione, libertà e democrazia partecipativa sono i nostri valori costituzionali e dovrebbero garantire proprio quel solidarismo sociale cui la nostra Carta Costituzionale è orientata. L’emergenza sanitaria continua ha, di fatto, messo in crisi questi punti fermi.


In uno Stato di diritto può accadere che simili principi soccombano di fronte ad un’emergenza sanitaria come l’attuale?

Temporaneamente può accadere. Se l’emergenza poi diventa eccezione allora credo che occorra fare alcune riflessioni. La Costituzione italiana contempla all’art. 25 un principio vitale per la democrazia: quello di legalità. Principio garantistico fondamentalmente rivolto a contenere per quanto possibile il tasso di arbitrarietà del legislatore e del giudice. Principio che è sovrano soprattutto in una democrazia parlamentare e pluralistica com’è la nostra. Quando questo cardine democratico è aggirato o leso, sullo sfondo intravedo sempre i germi dello Stato paternalistico con i suoi provvedimenti autocratici e con le dottrine sulla pericolosità sociale e su quella personale connesse all’estremizzazione della sicurezza pubblica o sanitaria.


Secondo lei stiamo vivendo una deriva democratica?

Guardi, credo che quando si eluda il principio dell’uomo al centro dell’ordinamento giuridico i rischi di arbitrii e compressioni di diritti costituzionalmente garantiti, trascinano spesso lo Stato democratico verso una deriva liberticida. Ribadisco fermamente che non si possa mai giustificare l’estromissione della centralità dell’essere umano dal sistema di valori di un ordinamento perché questo ci porterebbe inevitabilmente verso una concezione antidemocratica dello Stato. La legge non può mai depersonalizzarsi dimenticando i propri limiti costituzionali. Non possiamo tornare alla responsabilità d’autore intaccando i principi plurisecolari dello Stato di diritto. Discriminare, ledere i principi di uguaglianza, punire con sanzioni sproporzionate e irragionevoli, porta ad azioni di polizia sociale (lo Stato diventa criminogeno se la sua azione è solo istintiva). Questo naturalmente non vuol dire che ci sia una deriva democratica o una dittatura o paragoni che sono stati fatti col passato. I rischi di comprimere alcuni diritti fondamentali della persona umana però ci sono e alcuni sono abbastanza evidenti.


La decretazione d’urgenza di questi due anni secondo lei è giustificabile?

Secondo me no! A quanto pare la pensa allo stesso modo anche il Presidente della Repubblica che ha più volte richiamato il Governo sull’uso frequente della decretazione d’urgenza. La legislazione pandemica avutasi in questi due anni è stata per lo più “schizofrenica” ed eccessivamente mutevole anche nel breve periodo. La tassatività, la determinatezza e la certezza del diritto in tal modo sono state irrimediabilmente compromesse. Un potere discrezionale così ampio e mutevole può far temere il peggio non solo nell’attualità ma soprattutto in un prossimo futuro. Misure che annullano l’uomo nella sua dimensione sociale (lavoro, istruzione, libertà di movimento, libertà d’iniziativa economica e così via) sono incostituzionali e sopportabili solo in tempi di emergenza ma per brevissimi periodi e in nome di una necessità assoluta e di una proporzionalità inconfutabile.


Intende dire che si poteva fare di meglio?

Beh direi proprio di sì. L’emergenza, in nome della quale si vorrebbero giustificare le misure in atto durante la pandemia da Covid-19, poteva essere affrontata meglio attraverso una seria, tempestiva e profonda politica economica e sociale, corredata da una politica sanitaria territoriale e da un’attenta assistenza sociale generale, preventiva e non invasiva. Non andavano trascurate neanche la realtà psicologica e pedagogica, assistenziale dei giovani, pronta e aperta, secondo quei principi autentici dello Stato democratico sempre orientato verso il rispetto della dignità dell’uomo.


In che rapporti è l’attuale normativa emergenziale con la nostra Costituzione?

Direi non certo eccellenti. La normativa di carattere emergenziale per il contenimento del contagio da Coronavirus ha dato luogo a un inedito scenario di tensioni di matrice costituzionale andando a comprimere fortemente principi e diritti di libertà del cittadino. I diritti e le libertà costituzionali sono assoluti e non possono essere una concessione e tantomeno violati come se nulla fosse, senza il rispetto della gerarchia delle fonti o dei previsti controlli di natura costituzionale (penso al Parlamento e al Capo dello Stato).


Ma c’era lo stato d’emergenza.

Guardi credo che siano in pochi a sapere che la nostra Carta Costituzionale non preveda lo “stato di emergenza”. Questo è un punto di non poco conto perché certifica che la dichiarazione dello stato di emergenza sia fondata su una normativa di rango primario, ossia decreto legislativo, e non costituzionale. Ripeto: una precisazione di non poco conto perché tutte le decisioni adottate ai sensi di tale normativa devono sempre rispettare le norme costituzionali gerarchicamente superiori. La premessa precisazione è decisiva in tema di riserva di legge e ci dice categoricamente che certe decisioni dovrebbero essere prese dal Parlamento - che rappresenta il popolo e che rende concreta la sua volontà - e non da un singolo (Presidente del Consiglio, Presidente di Regione, Sindaco). In questi due anni, da giurista e da cittadino, ho costatato l’estromissione quasi totale del Parlamento da qualsiasi decisione inerente alla fase emergenziale. In una democrazia parlamentare come la nostra non mi sembra il massimo.


Scienza medica e politica secondo lei in questi due anni sono andate d’accordo?

A me è sembrato che molte scelte di politica sanitaria, spesso non si sono raccordate con quelle di natura politica. Si sarebbe potuto scegliere, ad esempio, di non comprimere alcune libertà fondamentali isolando solo le categorie concretamente a rischio. Si sarebbe potuto prediligere di reagire attraverso sistemi di tracciamento dei soggetti infetti, in modo da attuare un contenimento selettivo – e non generalizzato – delle persone. Essere obbligati a fare il vaccino per lavorare (di recente anche per andare a ritirare la pensione o per fare sport) non è una misura sanitaria ma politica e soprattutto ingiusta e discriminatoria poiché imposta in regime di facoltatività vaccinale. Che tipo di dignità si concede a un uomo quando lo si spoglia del suo sostentamento e quindi della possibilità di vivere decentemente? Pochi giorni fa il Consiglio d’Europa ha richiamato l’Italia proprio sull’uso del Green pass ritenendolo discriminatorio assieme agli obblighi che da esso derivino.


Sembra che gli italiani siano disposti a essere cittadini di un mondo dove si deroga facilmente agli altri diritti costituzionalmente garantiti come la libertà personale, di circolazione, d’iniziativa economica, di lavoro, d’istruzione e di autodeterminazione, è realmente così? 

Non so dirle se sia realmente così, tuttavia, credo che tutte le limitazioni per essere accettabili debbano essere necessarie, proporzionate e decise dal potere cui la Costituzione rimette tale scelta e nel rispetto dei limiti dalla stessa individuati. Non si può imporre una legge soltanto perché essa è conforme a delle indicazioni di alcuni tecnici, di medici o di scienziati, alcuni peraltro in palese conflitto d’interessi.


Un’emergenza sanitaria delle dimensioni di quella che stiamo vivendo può indurre a forzare così tanto la compressione di alcuni diritti fondamentali della persona umana?

L’emergenza va affrontata sempre tutelando la vita e la salute dei cittadini, soprattutto dei più deboli, il tutto però va attuato bilanciando costantemente i valori in discussione con gli altri aventi identico spessore previsti nella Costituzione. Un valore di natura costituzionale non può mai contrapporsi a un altro, si bilanciano sempre nel reciproco rispetto. I limiti ci sono e sono rigorosamente predeterminati sia nel contenuto, sia nella durata temporale proprio nella nostra Carta Costituzionale.


In conclusione si sente di lanciare un suo messaggio?

Guardi auspico che si giunga presto alla fine dell’emergenza con un sistema dei diritti fondamentali non compromesso, ove possibile riequilibrato, certamente non sfibrato nello spirito democratico e costituzionale. Mi auguro non ci siano conseguenze di natura psicologica e psichiatrica nei tanti soggetti che hanno sofferto in modo particolare gli effetti di questa pandemia. Una delle soluzioni che mi sentirei di proporre per provare a superare le molteplici discrasie che ho cercato di evidenziare è quella di ridare grinta al Parlamento. Occorrerebbero nuove elezioni politiche con un sistema elettorale proporzionale a preferenza unica che riannodi il rapporto elettore-eletto e consenta alle forze politiche di assumersi la responsabilità di adottare le misure necessarie per affrontare e vincere questa fase pandemica. Abbiamo il faro che ci indica il porto più sicuro: è la nostra Costituzione, rispettiamola.