Negli ultimi anni, le posizioni politiche della destra a livello globale si sono progressivamente radicalizzate, grazie alla prima presidenza Trump, momento storico in cui sono state sdoganate tesi i precedenza assurde come se fossero logiche e normali.
La prima presidenza Trump si è conclusa con un tentativo di colpo di Stato, la seconda presidenza Trump vede alla guida della nazione più potente al mondo un delinquente (questo è attualmente il presidente degli Stati Uniti) che crede di poter fare ciò che vuole, supportato non solo dai suoi sostenitori negli Stati Uniti, ma anche dai suoi emuli in giro per il mondo, che ne giustificano qualunque affermazione e qualunque decisione.
Questo ha contribuito a creare una polarizzazione, a livello globale, di posizioni politiche estremiste che hanno scosso le fondamenta del sistema multilaterale. Con la seconda presidenza Trump, e siamo solo all'inizio, le cose stanno peggiorando.
Una delle prime e più discusse decisioni della nuova amministrazione è stato il taglio dei finanziamenti a enti fondamentali per il sostegno umanitario e lo sviluppo globale. Trump ha tolto il sostegno all'UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Opera per i Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente) che da decenni rappresenta un punto di riferimento per milioni di rifugiati palestinesi, mettendo a rischio la fornitura dibeni primari alla sopravvivenza di molti palestinesi, con conseguenti ripercussioni sulla stabilità regionale.
Ma perché limitarsi a far danni solo ai palestinesi, quando è possibile farli anche ad altri popoli in altre parti del mondo? Ecco coì che Trump, dall'oggi al domani, ha cancellato l'USAID in nome del principio “America First” che porta a privilegiare gli interessi nazionali rispetto agli impegni internazionali, nonostante che tale politica, oltre a minare i programmi di assistenza in molte parti del mondo, creerà un vuoto che potrebbe essere riempito da altri attori, che potrebbero persino minacciare gli interessi americani.
Un ulteriore tassello del mosaico di decisioni controverse è il ritiro degli Stati Uniti dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, una decisione che ripete quella già presa nel 2018 e che sta a simboleggiare una rottura netta con le istituzioni internazionali ed un segnale di disimpegno dagli sforzi globali per la tutela dei diritti umani, una scelta che alimenta il dibattito su quale debba essere il ruolo degli Stati Uniti in un’epoca in cui il rispetto dei diritti fondamentali è alla base di qualsiasi democrazia che dovrebbe definirsi tale.
Come se non bastasse Trump, dopo aver più volte attaccato la Corte Penale Internazionale definendola parte di un “gioco politico internazionale” volto a limitare la sovranità americana, ha firmato un ordine esecutivo per sanzionare funzionari e collaboratori della CPI a seguito dei mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, un chiaro segnale di sfida al diritto internazionale e alle istituzioni che ne sono depositarie. Questa decisione, intrisa di un nazionalismo esasperato, ha ulteriormente diviso l’opinione pubblica: da una parte c’è chi accoglie con favore tale scelta che difenderebbe gli interessi nazionali USA, dall’altra c'è chi vede in essa una evidente minaccia al diritto internazionale.
Ciò che sorprende – e preoccupa – è come queste politiche, considerate da molti come atti non solo di distruzione ma anche di autodistruzione, abbiano comunque trovato un eco positivo in una parte consistente dell’elettorato statunitense. I sostenitori di Trump, che sembrano la replica reale dei minions vedendo in lui quello che al momento è il cattivissimo di turno che merita di essere osannato e servito, interpretano le attuali politiche come un segnale di forza, un’affermazione di indipendenza e di resistenza contro una fantomatica élite globale corrotta.