Tra le molte disposizioni della "manovrina" di aprile che dovrà essere convertita in legge vi è anche la rottamazione degli studi di settore che scatterà a partire dal prossimo anno.

Gli studi di settore che consentono di effettuare accertamenti sulla congruità dei fatturati dichiarati da imprenditori e lavoratori autonomi, sono entrati in vigore nel 1998.

E dal 1998 fino al 2015, a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, gli studi di settore si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate al fisco.

Il dato però non indica quanti di questi soldi siano il frutto di una emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a "tasse aggiuntive" pagate dai contribuenti per ottemperare comunque alle indicazioni del fisco.

Per il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo «per molti sarà la fine di un incubo anche se sarà necessario monitorare questo periodo di transizione con grande attenzione. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco.

Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori siano coinvolte le associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche fiscali di queste attività imprenditoriali.»

Rispetto a quanto è accaduto finora con gli studi di settore, coloro che in futuro rispetteranno gli indicatori di affidabilità fiscale non dovranno più essere sottoposti ad alcun accertamento.