Quando ero ragazzino mi  capitò di ascoltare i grandi interrogarsi se lo “smemorato di Collegno”, che parlava perfettamente italiano ma non ricordava assolutamente nulla di sé e del suo passato, fosse il professore padovano Giulio Canella oppure il tipografo torinese Mario Bruneri, entrambi dati per dispersi durante la prima guerra mondiale ‘15/’18.

Un giallo che per decenni ha appassionati gli italiani.

Che io sappia la identità di quel povero smemorato, ricoverato nel manicomio di Collegno, non è mai stata accertata nonostante le insistite indagini, un procedimento giudiziario, e persino la intraprendenza della trasmissione “Chi l’ha visto?” nel 2014.

“Chi l’ha visto” non si è occupata, invece, dello smemorato che si aggira tra noi perché della sua identità abbiamo certezza.  

A differenza dello smemorato di Collegno che soffriva di una amnesia che aveva cancellati dalla sua memoria oltre quaranta anni di vita vissuta, il nostro smemorato è affetto da una strana forma di amnesia con la quale può rimuovere a suo piacimento il ricordo di ciò che ha detto o fatto anche solo poche ore prima.

Gli psichiatri la qualificherebbero “amnesia lacunare”, io invece la definirei più semplicemente “amnesia di comodo”.

Il nostro smemorato di Rignano, che all’anagrafe risulta chiamarsi Matteo Renzi, sembra soffrire di amnesia, infatti, solo quando gli è comodo non ricordare un impegno preso oppure una affermazione che gli si ritorcerebbe contro.

Chi non ricorda, ad esempio, la parola data urbi et orbi, prima del 4 dicembre 2016, con l’impegno a ritirarsi definitivamente dalla vita politica se gli elettori avessero bocciato il suo referendum costituzionale?

Ebbene, solo lo smemorato di Rignano si è bellamente dimenticato della parola data e con la sua faccia di tolla non solo è rimasto avvinghiato alla poltrona di segretario del PD ma alle politiche 2018 si è candidato per il Senato, eletto nonostante la débâcle del partito da lui guidato.

Occorrerebbero pagine e pagine per menzionare le mille “amnesie di comodo” di cui si è servito fino ad oggi Matteo Renzi, ma oggi mi limiterei a citare solo l’ultima di cui si sta avvalendo da giorni per schiamazzare contro il governo giallo-verde.

Ecco il nuovo caso.

Nella nota di aggiornamento del DEF il governo Conte ha indicato per il triennio 2019-2021 un rapporto deficit/PIL del 2,4%.

Apriti cielo! Renzi non si è lasciata scappare l’occasione per avventarsi contro i giallo-verdi, secondo lui incompetenti e cialtroni, e definire il rapporto deficit/PIL del 2,4% una scelta demenziale che trascinerebbe il Paese in una disastrosa deriva venezuelana.

Anche in questa occasione lo smemorato di Rignano si è fatto scudo della sua “amnesia di comodo” per non ricordare che quando lui occupava Palazzo Chigi, cioè nel 2016, il rapporto deficit/PIL era del 2,6% per risultare poi del 2,4%, nel 2017, quando al governo c’era il suo portavoce Gentiloni, senza per questo che lui ed i suoi galoppini si stracciassero le vesti per la indignazione.

Non solo, ma quel che mi sembra più significativo è che per colpa della solita “amnesia di comodo” Renzi non ricorda nemmeno che, nel suo libro “Avanti”, proprio lui teorizza la necessità di mantenere per cinque anni il rapporto deficit/PIL al 2,9% per poter rilanciare l’economia del Paese e ridurre le tasse.

Ohibò! Mi domando: se è demenziale il 2,4% del governo giallo-verde per un triennio, come si dovrebbe giudicare il renziano 2,9% per cinque anni?