Il 20 gennaio 1990, 35 anni fa, è passato alla storia con un nome che racchiude già in se stesso terrore e morte: il Gennaio Nero dell’Azerbaigian (in azero Qara Yanvar), anche noto come Sabato nero o Massacro di gennaio. Fu una violenta repressione che ebbe luogo a Baku in Azerbaigian in base ad uno stato di emergenza durante la dissoluzione dell’Unione sovietica.

Il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha dichiarato il 2025 “Anno della Costituzione e della Sovranità in Azerbaigian” e, come sottolineato nella dichiarazione stessa “avere uno stato indipendente e sovrano, costruire una società sviluppata basata sui principi del valori nazionali e morali, della solidarietà, dell’umanesimo, della giustizia e dello stato di diritto, è stato per secoli il più grande sogno del popolo azerbaigiano”.

Proprio tale sogno fu alla base delle proteste di massa e del movimento di liberazione nazionale avviati dal popolo azerbaigiano come risposta alla politica discriminatoria della leadership dell’Unione Sovietica alla fine degli anni ‘80, alla deportazione di centinaia di migliaia di azerbaigiani dalle loro terre storiche nel territorio dell’attuale Armenia mediante pulizia etnica, così come alle infondate rivendicazioni territoriali dell’Armenia contro l’Azerbaigian e al sostegno dei leader dell’URSS alle attività separatiste degli armeni radicali nell’Oblast’ Autonoma del Nagorno Karabakh dell’ex Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian.

Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio 1990, 26.000 soldati sovietici si schierarono con carri armati contro la popolazione civile a Baku, Sumgayit e in altre città dell’Azerbaigian su ordine di Michail Gorbačëv, segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, con lo scopo di sopprimere con la forza il desiderio di indipendenza del popolo azerbaigiano. Il Segretario generale del partito comunista sovietico e il ministro della Difesa Dmitrij Jazov avevano affermato che la legge marziale era necessaria per fermare la violenza contro la popolazione armena e per contrastare gli sforzi del movimento per l’indipendenza azerbaigiano volto a rovesciare il governo sovietico azero. Lo scopo era quello di interrompere proprio quel sogno di indipendenza, ma nonostante l’intervento militare, causa dell’uccisione di più di 150 civili, del ferimento di circa 800 persone e della scomparsa di molti, inclusi rappresentanti di diverse religioni,
che convivevano in Azerbaigian, il popolo continuò a lottare disarmato contro i carri armati.

L’esercito sovietico, entrato nel Paese per impedire il movimento nazionale e spezzare la determinazione indipendentista del popolo azerbaigiano, violò le norme del diritto internazionale, le Costituzioni dell’ex Unione Sovietica e della RSS dell’Azerbaigian e perpetrò massacri contro la popolazione civile.

Il 19 gennaio 1990, il Soviet Supremo della RSS Azerbaigiana adottò un decreto "Sull'introduzione dello stato di emergenza nella città di Baku" nella notte tra il 19 e il 20 gennaio, basato su una falsa decisione datata 15 gennaio che non aveva valore legale. Il 19 gennaio, a seguito di un'operazione organizzata dal gruppo "Alpha" del KGB dell'URSS e dalla dirigenza del KGB repubblicano, i trasmettitori  della televisione del paese furono  fatti saltare in aria in modo che la popolazione non potesse essere ufficialmente informata della dichiarazione dello stato di emergenza a Baku e dell'ingresso delle truppe in città. Tuttavia, in quel momento, 34 delle 60 unità militari istituirono picchetti e barricate che bloccarono  26 punti di ingresso e di uscita dalla città, tra cui la caserma Salyan. Nonostante l'introduzione dello stato di emergenza nella notte tra il 19 e il 20 gennaio, il 19 gennaio, alle 21:00, le truppe furono inizialmente dispiegate in città dal lato Turkan-Gala.

L'"operazione Baku" fu guidata direttamente dal ministro della Difesa dell'URSS Dmitry Yazov, dal ministro degli Interni dell'URSS Vadim Bakatin e dal vicepresidente del KGB dell'URSS Filip Babkov. Le unità dell'esercito inviate in Azerbaigian includevano ufficiali e soldati armeni mobilitati da Stavropol, Rostov e Krasnodar, nonché cadetti armeni che studiavano nelle scuole militari. Le truppe della guarnigione di Baku, le unità militari aviotrasportate e i gruppi da sbarco lanciati dalle navi da guerra attaccarono la città. L'equipaggiamento militare pesante distrusse facilmente le barricate. Le strade della città furono inondate dal sangue di persone innocenti che erano state colpite e ferite: anziani, donne e bambini. I militari aprirono il fuoco su persone a caso che si trovavano per strada, su edifici residenziali, su ambulanze, uccidendo i feriti, bruciando i corpi, insultandoli e sfigurandoli. Schiacciarono le persone sotto i cingoli di pesanti equipaggiamenti militari e facendole morire agonizzanti.

Prima che lo stato di emergenza fosse dichiarato alla popolazione, il personale militare aveva brutalmente ucciso 82 persone e ne aveva ferite mortalmente 20 e successivamente alla dichiarazione dello stato di emergenza, 21 persone furono uccise a Baku il 20 gennaio e nei giorni successivi. Nelle regioni in cui lo stato di emergenza non era stato dichiarato, a Neftchala il 25 gennaio e a Lankaran il 26 gennaio, furono uccise altre 8 persone. A seguito dello spiegamento illegale di truppe sovietiche, 146 persone furono uccise, 744 ferite e 841 furono arrestate illegalmente a Baku e nelle regioni dell'Azerbaigian. 200 case e appartamenti, 80 auto, comprese le ambulanze, furono distrutte dal personale militare, così come proprietà statali e private a seguito di incendi causati da proiettili incendiari. Tra i morti c'erano donne, bambini, anziani, così come soccorritori e polizia. 


La tragedia del 20 gennaio rappresenta una grave violazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e di altri documenti legali internazionali.

Subito dopo i tragici eventi, il Leader Nazionale dell’Azerbaigian, Heydar Aliyev, tenne una conferenza stampa nella Rappresentanza permanente azerbaigiana a Mosca, condannando aspramente la brutalità perpetrata e chiedendo una valutazione politica del massacro commesso contro il popolo azerbaigiano e la punizione degli autori del reato. Proprio su sua iniziativa, nel 1994 il Milli Majlis (l’Assemblea Nazionale) della Repubblica dell’Azerbaigian ha dichiarato il 20 gennaio Giornata di lutto nazionale.

Da ormai 35 anni, il 20 gennaio è considerato l’inizio del cammino verso l’indipendenza dell’Azerbaigian, un percorso che si è arricchito di anno in anno, rinforzato dalla ritrovata sovranità ripristinata in seguito alla Guerra Patriottica del 2020 e alle operazioni di antiterrorismo del 2023, e che oggi si celebra nel Paese nel ricordo dei martiri che hanno dato la loro vita perché la pace nel Paese divenisse realtà.