Durante la registrazione della puntata di Porta a Porta del 13 marzo, Maurizio Martina ha fatto due annunci.

Il primo si può definire di servizio, comunicando di essersi dimesso da ministro dell'Agricoltura, dopo aver assunto l'incarico di segretario reggente del Pd: «Da questo pomeriggio non sono più ministro, per rispetto del ruolo istituzionale che ho ricoperto fin qui e del ruolo che sono chiamato a svolgere». L'interim del ministero delle Politiche agricole è stato assunto dal premier Gentiloni.

L'altro annuncio è uno spiraglio di apertura ai 5 Stelle. Infatti, oltre ad affermare che «noi non ci stiamo a giocare a Risiko e se [Di Maio] evoca il voto sancisce la sua sconfitta», Martina ha poi aggiunto: «Governo? Noi possiamo anche partire da un lavoro serio di controproposta... io ci sto! Lo sappiamo che dobbiamo partire da un discorso di questo genere nella società e nelle istituzioni, ma prima [i 5 Stelle] devono indicare cosa vogliono fare.»

E questa dichiarazione di Martina, va ricordato, fa seguito a quanto detto in mattinata durante un'intervista radiofonica, da Graziano Delrio, non certo una figura di second'ordine nel Pd: «Se Mattarella ci chiedesse di fare il governo? Valuteremo. Il Presidente ha sempre la nostra attenzione e la nostra collaborazione.»

Due indizi esili, ma non certo trascurabili, che farebbe pensare che il Partito Democratico, al di là delle dichiarazioni dei pretoriani renziani e del loro capo, non abbia escluso a priopri di poter aprire almeno un dialogo per valutare una pur vaga possibilità di accordo con il Movimento 5 Stelle.

In mezzo alle dichiarazioni di Martina e Delrio, la conferenza stampa di Luigi Di Maio alla sede dell'Associazione della Stampa estera a Roma. Queste alcune delle sue dichiarazioni:

«Non contempliamo l’idea di un Governo di tutti o istituzionale perché gli italiani hanno votato un candidato premier, una squadra di ministri, un programma e le coperture del programma di una determinata forza politica. ...

Il popolo italiano è diventato post ideologico, perché con questo voto tanti cittadini sono usciti fuori dagli schieramenti tradizionali e sposato temi e battaglie che sono trasversali. Se non si leggesse così questo voto, si ripeterebbe l’errore del 2013, ossia la convinzione che il M5S fosse un fuoco di paglia che si sarebbe spento dopo poco.

Non è così... è che stanno cambiando gli italiani, che vanno sulle cose concrete, vogliono vedere risolti i problemi e possibilmente partecipando alla soluzione. Perciò sento la responsabilità, come prima forza politica, di imporre un "nuovo metodo" nel dialogo tra le forze politiche.»

Quale sia questo metodo e se tali affermazioni siano da considerare di chiusura a quella che poteva sembrare una pur timida apertura al dialogo da parte del Partito Democratico lo potremo sapere tra poco più di una settimana, quando inizieranno le consultazioni con il presidente della Repubblica.