La dottoressa Silvia Parisi ci parla degli aspetti genetici in campo psichiatrico sulla schizofrenia. Fra i molti caratteri geneticamente controllati che contraddistinguono singoli individui, diversi, nel numero più o meno rilevante dell'ambito delle differenti specie, sono considerati indesiderabili e la non voluta comparsa di essi può essere dettata da motivi ideologici assai seri e gravi.

Essi comportano malattie anomalie anche neurologiche. Al proposito, pare significativo citare il manuale di diagnosi e statistica dei disordini mentali (DSM), pubblicato dall'associazione americana di psichiatria, in cui si espone la natura problematica del termine disordini mentali. Mentre un tempo si sedeva distinguere disordini mentali da quelli fisici, oggi si ritiene che le patologie riguardanti il SNC siano strettamente connesse ad alterazioni genetiche nello sviluppo del complesso funzionamento del sistema nervoso stesso.

Sembra allora che l'identificazione dei geni coinvolti nello sviluppo, nel trattamento e nella plasticità del cervello procuri strumenti essenziali alla delucidazione sia delle funzioni normali sia dei disordini mentali.

Il DSM (giunto alla quinta edizione) elenca criteri pratici di diagnosi di molte disordini mentali. Questa raccolta di criteri, basati su sintomi e segni, ha consentito di accrescere l'attendibilità e la rigorosità delle diagnosi psichiatriche.

Nonostante questo successo alcuni autori mettono in discussione la validità dei criteri adottati. È indubbio il progresso compiuto rispetto a trent'anni fa, quando Robins e Guze elaborare una propria teoria sulla schizofrenia.

Essi affermavano che le diagnosi dovevano essere basate su descrizioni cliniche (che dovevano identificare gruppi correlati di sintomi), studi di laboratorio, distinzione di un disordine dall'altro, studi familiari e studi longitudinali per confermare la stabilità della diagnosi.

Articolo scritto dalla dott.ssa Silvia Parisi, psicologa a Cuneo