Il glifosato, l'erbicida più diffuso al mondo, è entrato nelle nostre vite senza chiedere permesso, contaminando la catena alimentare, l'acqua che beviamo e l'aria che respiriamo. Eppure, nonostante le evidenze scientifiche sempre più allarmanti, il suo utilizzo continua, protetto dal silenzio spesso complice dell'informazione ufficiale e dalle pressioni economiche.
Nel 2015, l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), parte dell'OMS, lo ha classificato come “probabile cancerogeno per l'uomo”. Da allora, il dibattito è stato un susseguirsi di tentativi di smentita e di conferma, spesso condizionati da interessi industriali. Ma oggi, grazie a uno studio dell'Istituto Ramazzini, pubblicato nel giugno 2025 su Environmental Health, la questione si fa incontrovertibile.
L'esposizione continua al glifosato, iniziata già nel grembo materno e protratta per due anni in esperimenti su ratti, ha causato un aumento significativo di tumori multipli: leucemie, tumori del sistema nervoso, della pelle, del fegato, delle ossa e della tiroide. E attenzione: questi effetti sono comparsi anche a dosi ritenute “sicure” dall'Unione Europea, cioè 0,5 mg/kg/die. Nel caso delle leucemie, il 40% degli animali esposti è morto nel primo anno di vita, mentre nel gruppo di controllo nessun caso è stato registrato.
Ma i rischi non si fermano qui. Ricerche più recenti evidenziano come il glifosato possa essere un fattore che contribuisce allo sviluppo di malattie neurologiche complesse, come l'autismo e il morbo di Parkinson, danneggiando il sistema nervoso fin dalle prime fasi della vita, specie in soggetti geneticamente predisposti. Inoltre, altera il microbiota intestinale, squilibrando la relazione intestino-cervello, con conseguenti stati infiammatori cronici e stress ossidativo.
Di fronte a tutto questo, la domanda vera è: perché continuiamo a usarlo? Perché il Comune di Vercelli, dopo dieci anni di stop, ha deciso di tornare a impiegare il glifosato per il verde pubblico? Come si può giustificare l'uso in parchi, giardini scolastici e aree urbane frequentate da bambini e famiglie?
Il glifosato non agisce da solo: si combina con metalli pesanti, microplastiche e altre sostanze chimiche, amplificando i danni attraverso meccanismi sinergici e cumulativi. È la punta dell'iceberg di una contaminazione sistemica e inarrestabile che richiede un cambio di paradigma nella tutela della salute pubblica e nella gestione del rischio ambientale.
Basta relegare queste evidenze a mere “note a margine” o a dispute tra esperti finanziati da lobby. La scienza indipendente ha parlato chiaro. Ora tocca alle istituzioni – politiche e sanitarie – prendere una posizione chiara e coraggiosa. È urgente proteggere il genoma e il cervello delle nuove generazioni, e questo significa mettere fine all'uso indiscriminato di sostanze tossiche come il glifosato, che ormai è il simbolo di un problema che non possiamo più ignorare.