Due diversi studi sul mercato del lavoro ci informano del suo reale andamento, al di là dei proclami propagandistici finora diffusi dal Governo e dal partito di maggioranza che il Governo supporta. Uno è stato redatto dalla Fondazione Di Vittorio ed è relativo alle "persone nell’area del disagio occupazionale", l'altro è invece il "primo Rapporto annuale" frutto della collaborazione sviluppata nell’ambito dell'Accordo quadro tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, finalizzato a produrre informazioni armonizzate, complementari e coerenti sulla struttura e sulla dinamica del mercato del lavoro in Italia."

Cominciamo da quest'ultimo e vediamo che cosa ci racconta.

Intanto, partiamo dai presupposti. Le fonti che parlano di occupazione di occupazione sono diverse, ed ognuna sfrutta le caratteristiche che le permettono di produrre dati più meno specifici relativi alla propria attività. Come questo primo rapporto si cerca di armonizzare i dati provenienti dalle diverse fonti e di dare al Paese e a chi lo governa uno strumento più adatto per conoscere la situazione il più possibile aggiornata del mercato del lavoro e prendere le decisioni più adeguate.

Che cosa ci dice questo primo rapporto.

Da una parte esiste la ripresa, dall'altra continuano persistenti fattori di debolezza. Come già anticipato dalla propaganda di governo, nel primo semestre del 2017 il numero di occupati si avvicina ai livelli del 2008 (poco meno di 23 milioni), ma ecco che il rapporto ci dice ufficialmente quello che altri avevano già fatto fatto notare, che riguarda le ore lavorate, il cui divario, rispetto al 2008 divario è ancora rilevante.

A caratterizzare la ripresa economica è il lavoro dipendente nel settore privato dell’economia, mentre continua il declino del lavoro indipendente e della amministrazione pubblica (-220 mila unità di lavoro fra il 2008 e 2016) a causa del lungo blocco del turnover.

A trarne beneficio sono i settori dell’agricoltura e dei vari comparti dei servizi, inclusi istruzione e la sanità. Anche l’industria in senso stretto mostra una ripresa, più forte dal 2016 e che si intensifica nei primi sei mesi del 2017. Tutto questo è però "compensato" dal calo dell’occupazione nelle costruzioni che continua a decrescere dal 2009.

L'occupazione, come accennato in precedenza riguarda il lavoro dipendente. Ma come sono assunti i nuovi lavoratori? A tempo determinato! Dal 2014 è cresciuta l’occupazione a termine, con un rallentamento nei due anni successivi, e una nuova intensificazione nel 2017, quando ha toccato il massimo storico nel secondo trimestre 2017 (2,7 milioni di unità).

Il Jobs Act ha prodotto i suoi effetti soprattutto nel 2015 e nel 2016, grazie alla decontribuzione che ha reso convenienti le assunzione a tempo permanente, tre anni di contratto che possono essere interrotti in qualsiasi momento senza garanzie di passare a tempo indeterminato.

Il rapporto completo nelle sue diverse componenti può essere consultato scariocando il documento RAPPORTO
IL MERCATO DEL LAVORO: VERSO UNA LETTURA INTEGRATA.


Da citare, però anche questo dato relativo ai "lavoratori coinvolti in rapporti di lavoro di breve durata [che] risultano nel complesso poco meno di 4 milioni nel 2016, in crescita dai 3 milioni del 2012. Questo dato ci concente di ricollegarci anche al rapporto della Fodazione Di Vittorio che descrive le persone nell’area del disagio occupazionale.

"In base a tale rapporto, sono 4 milioni 492mila le persone che nel nostro Paese si trovano nella cosiddetta area del disagio occupazionale (vale a dire coloro che in modo involontario svolgono un lavoro temporaneo o a tempo parziale), con un incremento del 45,5% rispetto al 2007." Rispetto al totale degli occupati, il disagio è pari al 20%, il più alto degli ultimi dieci anni.

Questa, in breve, la sua rappresentazione. Al Sud è pari al 23,9% ed è maggiore rispetto al Nord (17,7%). Riguarda molto di più l’occupazione femminile con il 26,9% rispetto a quella maschile che è del 15,2%.

Per classi di età, la percentuale di disagio è del 60% nella fascia di età 15-24 anni, in aumento di ben 21 punti rispetto al 2007; segue la fascia 25-34 anni con un tasso del 32% (era il 19% nel 2007).

A soffrire maggiormente le conseguenze di tale andamento son in particolar modo i lavoratori stranieri (poco più di un lavoratore su tre), rispetto a quelli con cittadinanza italiana (18,4%).

Il disagio è più alto tra i lavoratori con basso titolo di studio (licenzia media), pari al 22,8%, vale a dire 5,3 punti sopra il tasso relativo a chi ha una formazione universitaria, mentre la differenza con quelli in possesso di un diploma di scuola media superiore hanno una differenza del 2%.

L’analisi per settori di attività, infine, riconosce negli "altri servizi collettivi e personali" e in "alberghi e ristoranti", i comparti nei quali la condizione di disagio occupazionale è più frequente (39% degli occupati).

Questo il commento del presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni: «Nel nostro Paese, continua un processo di progressiva precarizzazione e dequalificazione dell’occupazione, che ha portato l’area del disagio al punto più alto degli ultimi dieci anni, penalizzando particolarmente le fasce di età più giovani. Contestualmente continua a peggiorare anche la qualità della nostra occupazione in termini di qualifica professionale, in controtendenza con quanto avviene nel resto d’Europa.»

Ad esso si aggiunge quello della segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti: «Lo studio della Fondazione di Vittorio dimostra come quella del Governo su crescita e ripresa del Paese sia pura propaganda. Aumentano i lavoratori nell'area del disagio e si allarga la forbice delle disuguaglianze a causa di scelte politiche che hanno ridotto diritti e tutele, sostenuto la flessibilità del mercato del lavoro e favorito gli incentivi a pioggia alle imprese attraverso la decontribuzione.

Per queste ragioni non è più rinviabile un cambio di passo nelle scelte di politica economica e del mercato del lavoro. Le risorse - spiega - devono essere indirizzate verso gli investimenti, così da poter valorizzare saperi, ricerca e innovazione. Il lavoro buono, stabile e di qualità deve essere precondizione per lo sviluppo e non può essere considerato una condizione di privilegio che impedisce la competitività.»

Il rapporto completo della fondazione Di Vittorio può essere consultato scaricando il documento Il disagio nel mondo del lavoro