Un altro successone targato Trump: in meno di tre mesi di governo, il presidente americano è riuscito a ribaltare il consenso elettorale che in Canada vedeva favorito il leader conservatore Pierre Poilievre che promuoveva lo slogan “Canada First”, tanto che, pur avendo raggiunto un +25% di gradimento nei sondaggi, alle elezioni politiche che si sono svolte lunedì è stato sconfitto dalla coalizione dei liberali dell'ex governatore della Banca del Canada e della Banca d'Inghilterra, Mark Carney.

Questa vittoria, maturata in un contesto geopolitico teso e segnato dalle frizioni con gli Stati Uniti, apre ora a Carney le porte a un possibile ruolo globale per il nuovo primo ministro come figura di riferimento del multilateralismo democratico.

Durante la campagna, Carney non ha risparmiato critiche all'aggressività di Trump. Il suo messaggio, chiaro e incisivo, ha avuto facile breccia in un elettorato sempre più preoccupato per la crescente ostilità dell'ex presidente americano. I recenti dazi imposti da Washington e l'inquietante retorica sull'annessione del Canada hanno scatenato una reazione patriottica che ha travolto il leader conservatore Pierre Poilievre e il suo slogan “Canada First”, troppo simile per stile e contenuti a quello trumpiano.

Tuttavia, la vittoria di Carney è meno netta di quanto sembri: i liberali non hanno ottenuto la maggioranza assoluta in Parlamento. Il nuovo governo sarà quindi costretto a cercare compromessi e alleanze con i partiti minori, una condizione che potrebbe limitare la portata delle sue ambizioni internazionali.

Nonostante questo, l'ascesa di Carney sta già avendo ripercussioni ben oltre i confini canadesi. In Australia, dove si vota a breve, i partiti progressisti stanno cavalcando la stessa onda di rigetto verso Trump che ha favorito Carney. Secondo i commentatori, l'effetto domino è innescato: l'identificazione dei leader conservatori stranieri con la figura divisiva dell'ex presidente americano sta diventando per loro un boomerang elettorale.

Ma chi è davvero Mark Carney? Non un politico di carriera, ma un tecnocrate con una credibilità economica costruita nei salotti più alti della finanza globale. La sua agenda estera prevede un riposizionamento del Canada verso Europa, Asia democratica e Australia, per ridurre la storica dipendenza dagli Stati Uniti, soprattutto in settori come energia, acciaio e difesa.

Non sarà un cammino semplice. Carney dovrà evitare di trasformare il Canada in un bersaglio diretto della Casa Bianca, cercando al contempo di tessere una rete internazionale alternativa. È il classico esercizio di equilibrio diplomatico: leadership senza arroganza, cooperazione senza provocazione.

Carney potrà anche approfittare del fatto che il Canada nel 2025 presiede il G7, mentre un incontro previsto in Alberta a giugno con Trump e la presidente messicana Claudia Sheinbaum potrebbe diventare il primo test in cui mettere alla prova la sua abilità nel gestire i nuovi rapporti a livello internazionale.

La lezione di questa elezione è comunque chiara. Fuori dagli Stati Uniti, il trumpismo non vince più. Anzi, penalizza. In Canada, essere filo-Trump significa mettersi contro il proprio Paese e gli elettori lo hanno capito.