Gli studenti del Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA) intervistano Vincenzo Musacchio, giurista, criminologo e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.
Professore ci spiega in parole semplici e chiare cosa accadde nel cd. periodo stragista che va dal 1992 al 1994 e cosa ne pensa lei della presunta trattativa tra Stato e mafia?Sono sempre stato convinto che ci siano stati pezzi deviati delle Istituzioni coinvolti nelle stragi mafiose di quegli anni. Di questo ovviamente non ho prove ma i tanti indizi raccolti rafforzano sempre di più questa mia supposizione.
Di quali indizi parla?Gliene cito uno che può apparire banale, ma in realtà non lo è per nulla. Gioacchino Genchi, collaboratore di Giovanni Falcone, ci racconta che il magistrato possedeva due notebook: un Casio e uno Sharp. Il Casio fu ritrovato completamente cancellato. Nello stesso mancava la memoria e la scheda di memoria che Falcone aveva e utilizzava. Questa scheda di memoria non si è mai trovata. Quel Casio trovato cancellato ci fu detto che Falcone non lo utilizzava più perché gli si era smagnetizzato in aeroporto. Cosa assolutamente non vera perché in aeroporto non si smagnetizza nulla quando si passa al metal-detector. Giovanni Falcone inoltre non è mai passato sotto nessun metal-detector. Cosa c’era in quei due notebook? Chi li ha aperti? Chi ne ha fatto sparire uno?
Sulla trattativa invece cosa pensa?Che si processa la mafia e si assolve quella parte di Stato di cui accennavo all’inizio dell’intervista. A quei tempi non c’era ancora ma uno dei fatti contestabili avrebbe dovuto essere il delitto di depistaggio. I depistaggi ci sono stati, e li hanno realizzati i politici collusi con la mafia tramite i poliziotti, i magistrati, che grazie a quelle condotte criminali hanno fatto carriera. I rapporti tra crimine organizzato e Stato sono talmente evidenti a chi voglia individuarli che non occorre la sentenza di Palermo, né quella di condanna, tantomeno quella recente di assoluzione parziale. Falcone sosteneva che fosse impossibile colpire duramente il crimine organizzato senza danneggiare, in alcuni casi, anche il tessuto istituzionale. Le mafie si sono insinuate ovunque anche con l’approvazione del potere politico. La politica è collusa con il potere mafioso: le mafie costruiscono le basi clientelari che poi divengono bacini elettorali per molti politici. Cos’è questa se non trattativa?
Che cosa ricorda lei di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino?Molti ricordi li ho per interposta persona grazie ad Antonino Caponnetto. Di Falcone custodisco una sua lettera nella quale mi scrive parole bellissime che hanno condizionato la mia esistenza. Di Borsellino ricordo una forte stretta di mano a un convegno in Abruzzo.
Dei racconti di Caponnetto su tale momento storico le rimase impresso qualcosa in particolare?Antonino Caponnetto mi raccontò molti fatti in gran parte riportati nel mio free book “Adesso tocca a te”. Mi confermò più volte che Falcone fosse convinto vi fossero contatti tra Cosa Nostra e pezzi deviati dello Stato. La conferma di quest’assunto tuttavia la da lo stesso Falcone quando dice, dopo l’attentato all’Addaura, che si era di fronte a menti raffinatissime che tentavano di orientare certe azioni della mafia. “Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa Nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi”. “Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”. Queste parole di Giovanni Falcone credo abbiano valore ancor oggi e devono farci riflettere a mente lucida e non obnubilata su quanto sta accadendo intorno a noi in questo momento storico.
Secondo lei la trattativa Stato-mafia dopo la sentenza di secondo grado esiste ancora?Giudiziariamente per ora non esiste. Le sentenze giuste o sbagliate che siano si rispettano sempre. Credo ci sarà un terzo grado di giudizio che spero porrà fine alla vicenda giudiziaria. Restano le responsabilità politiche e morali alle quali nessuna sentenza potrà mai porre rimedio. La trattativa continuerà ad esistere e sarà oggetto di continue negoziazioni e rinegoziazioni. Ci sono purtroppo poteri legati a Roma, ai grandi affari, alle lobbies bancarie, ai poteri finanziari che fanno affari con le mafie, le usano e sono a loro volta usati. I mafiosi non sono solo Messina Denaro, Riina o Provenzano. Soggetti collusi con la mafia, che utilizzano gli stessi metodi, sono ormai ovunque, sono nelle istituzioni pubbliche, nella società civile e siedono persino in Parlamento. La trattativa finirà quando avremo uno Stato che vorrà realmente combattere le mafie.