In un tempo in cui ogni definizione sembra liquefarsi nella soggettività, affermare che la famiglia naturale è composta da madre, padre e figli non è un gesto di provocazione, ma di semplice adesione alla realtà. Una realtà che precede qualsiasi legge, orientamento o ideologia. La famiglia, quella fondata sull’unione stabile tra un uomo e una donna, aperta alla vita e alla crescita dei figli, non è un’invenzione culturale né una convenzione religiosa: è un dato biologico, naturale, antropologico e sociale.
Non si tratta di negare l’esistenza di altre forme di convivenza, né di mancare di rispetto a chi fa scelte diverse. Le unioni civili esistono, sono legittime e meritano dignità. Ma il rispetto non implica l’equiparazione. Dire che tutte le relazioni affettive sono uguali, e che qualunque combinazione tra adulti possa definirsi famiglia nello stesso modo, significa rinunciare a una verità fondamentale: solo dalla complementarità tra un uomo e una donna nasce la vita, e solo da quella diversità può scaturire una ricchezza educativa insostituibile per un figlio.
Un bambino non è un diritto. È un soggetto di diritti. E tra questi, c’è il bisogno – profondo, concreto, naturale – di crescere con una madre e un padre. Questo non significa idealizzare le famiglie tradizionali né ignorare le difficoltà che possono attraversare. Ma cancellare l’idea stessa che esista una struttura familiare fondata sulla differenza sessuale, e che questa abbia un valore specifico per l’educazione e lo sviluppo armonico dei figli, è una forma di negazionismo culturale.
Non si tratta di giudicare l’amore tra due persone dello stesso sesso, ma di riconoscere che la genitorialità non è una questione di affetto tra adulti, bensì una responsabilità verso i figli. Le pratiche come la fecondazione eterologa o la gestazione per altri, quando usate per generare figli in contesti in cui manca intenzionalmente la figura materna o paterna, pongono un interrogativo etico serio: stiamo ancora mettendo al centro il bene del minore, o stiamo solo rispondendo ai desideri degli adulti?
Difendere la famiglia naturale oggi richiede coraggio. Perché viviamo il tempo del ‘politicamente corretto’, in un’epoca in cui tutto ciò che richiama un ordine oggettivo viene bollato come ‘retrogrado’ o ‘intollerante’. Ma non è progresso negare la natura. Progresso è proteggerla, valorizzarla, integrarla in una società giusta e solidale. Sostenere che la differenza tra uomo e donna sia un valore educativo non è discriminazione, è realismo. È mettere i bisogni dei più piccoli prima dei desideri degli adulti.
Una società che vuole crescere sana non può permettersi di ignorare le fondamenta su cui si regge: e la famiglia naturale, pur con tutte le sue sfide, resta la prima scuola di amore, responsabilità e umanità. Non difenderla, per timore di essere fraintesi, sarebbe un errore che pagheremmo tutti, soprattutto le nuove generazioni.