Era il 5 luglio del 2019 quando fui premiato con la menzione speciale al Premio Nazionale “don Peppe Diana” proprio assieme al giudice Roberto Di Bella, all’epoca presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Non lo conoscevo prima di allora e ne rimasi profondamente colpito.

Oggi svolge la stessa funzione a Catania. Grazie alla sua intelligenza ho scoperto come si possa fare antimafia anche dal tribunale per i minorenni, dando la possibilità a tanti ragazzi e alle loro madri, di avere una seconda opportunità di vita. La soluzione proposta è allontanare i boss dai loro figli agendo sul principio della responsabilità genitoriale (art. 316 c.c.) il quale sancisce il diritto del minore a ricevere una corretta educazione orientata a “sviluppare un senso di responsabilità morale e sociale conforme ai principi consacrati nella Costituzione”.

Offrire questa possibilità di salvezza a molti ragazzi nati nelle famiglie di mafia, di fatto, impedisce, e impedirà in futuro, che tanti bambini possano diventare inconsapevoli vittime di mafia.

Nessuno nasce mafioso, mafiosi si diventa. Questi ragazzi sono vittime sacrificali perché respirano fin da piccoli l’aria della violenza e della prevaricazione, devono controllare le loro emozioni e le loro aspirazioni per non deludere il “padre-padrone-boss”. A loro è insegnato a uccidere partendo da innocenti animali fino ad arrivare agli esseri umani, gli è inculcato dalla nascita che il loro nemico è lo Stato. Non hanno altra possibilità non possono scegliere il loro futuro, sono costretti a ubbidire senza fiatare.

Quando andai a Polistena in Calabria, il 23 aprile 2018 mi fu raccontato di molte donne coraggiose che si erano presentate spontaneamente chiedendo al tribunale per i minorenni di allontanarle insieme ai loro figli dai padri boss mafiosi.

Nei confronti di questi bambini è commesso il delitto umano più grave: la negazione della loro adolescenza. Un bambino di dieci o dodici anni difficilmente può essere un delinquente irriducibile. Gli è stata inculcata la cultura del male per cui credo sia giusto provare a fargli conoscere l’immensa forza del bene.

Togliere un minore dalla famiglia mafiosa vuol dire evitargli il carcere, l’ergastolo, il 41 bis o la morte. Dal 2012 a oggi il progetto del dottor Roberto Di Bella ha fatto dei progressi enormi. Per me rappresenta la prova che si possa fare antimafia anche da un tribunale per i minorenni.

È un’opportunità vera, concreta ed efficace che è concessa a questi ragazzi e alle loro madri. Questi poveri bambini, spesso dimenticati da tutti, ora hanno realmente la possibilità di poter costruire una nuova vita lontana dal buio mondo del crimine organizzato.


VINCENZO MUSACCHIO –
Giurista, criminologo e docente di diritto penale. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra.