Un rapporto pubblicato da oltre 80 Organizzazioni internazionali Non Governative (ONG) afferma che gli accordi di Oslo non sono riusciti a creare un percorso di pace tra israeliani e palestinesi. E per tale motivo quelle stesse ONG chiedono che le principali potenze mondiali si impegnino per creare un nuovo percorso di pace, che sia fondato sui diritti umani e sull'obbligo di risponderne, da entrambe le parti, per il loro mantenimento.

Questo rapporto è stato pubblicato nel 25° anniversario degli accordi firmati a Oslo da OLP e Israele nel 1993, sanciti il 13 settembre con una stretta di mano tra Yasser Arafat e Yitzhak Rabin. Stretta di mano che costò la vita al premier israeliano, assassinato due anni dopo da un colono ebreo estremista sull'onda di una campagna d'odio nei suoi confronti promossa dalla destra israeliana guidata da Benjamin Netanyahu e Ariel Sharon.

Christoffer Burnett-Cargill, direttore dell'AIDA di Gerusalemme che ha provveduto a redigere il rapporto, ha dichiarato: "Le ONG vedono ogni giorno come la mancanza di progressi dai tempi di Oslo abbia danneggiato la vita delle persone. La promessa di Oslo di una pace giusta, duratura e completa non è mai stata soddisfatta. È tempo di un nuovo percorso e di una nuova strategia."

"25 anni dopo gli accordi di Oslo - Tempo per una nuova narrazione" - così è titolato il rapporto - indica la necessità di una soluzione politica come unica via per assicurare prosperità e pace duratura nella regione, ed esorta Israele, i palestinesi e la comunità internazionale a trovare un nuovo modo di procedere basato su alcuni principi, tra cui il rispetto della legge internazionale e il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione dei palestinesi.

Il rapporto avverte che, in assenza di pace, i programmi di aiuti internazionali sono una delle sole cose che consentono di sostenere la popolazione nei territori occupati, ma che gli aiuti non possono portare a soluzioni politiche e che la comunità internazionale non deve continuare a utilizzare gli aiuti come strumento compensativo per il fallimento del processo di pace tentato ad Oslo, da attribuire anche dalla mancanza di responsabilizzazione e di pressioni da parte della comunità internazionale.

Da allora la vita in Cisgiordania e a Gaza si è trasformata in periodi ripetuti di povertà, violenza e violazioni dei diritti umani, sotto l'occupazione militare israeliana.

E questo in particolar modo a Gaza dove, dopo la chiusura dei confini dal 2007, vivere è pressoché impossibile con le interruzioni di corrente giornaliere, l'acqua dei rubinetti non potabile e quasi i tre quarti del litorale inquinati da liquami.

Una situazione drammatica che potrebbe cambiare radicalmente con la pace. Ad esempio, nell'Area C della Cisgiordania, controllata da Israele, solo l'1% di quel territorio è utilizzabile per lo sfruttamento da parte dei palestinesi. La Banca Mondiale stima che, se l'Autorità Nazionale Palestinese avesse il controllo completo dell'Area C, il PIL palestinese aumenterebbe del 35%.

"Dobbiamo lavorare per cambiare le condizioni sul terreno - ha concluso Christoffer Burnett-Cargill - per ridurre la dipendenza da questa assistenza e fornire piena autodeterminazione, sviluppo economico, sicurezza e pace. Non possiamo permetterci di aspettare altri venticinque anni, il momento dell'azione è ora.

La terra per la pace, la sicurezza per la pace, hanno fallito. È tempo di un nuovo tema, diritti per la pace!"