Il grande orchestrale che ha cercato in passato di coinvolgere nomi importanti ignari del tutto e lontani dal paese a cui scaricare le proprie azioni criminali
In uno dei più intricati e gravi scandali del settore energetico degli ultimi anni, emergono nuovi dettagli sull’associazione a delinquere che ha orchestrato un vasto sistema di frode ai danni dello Stato e dei cittadini. Al centro delle indagini figura Nirvano Bricchi, imprenditore bresciano attivo tra l’Italia e le Isole Canarie, già noto per una serie di operazioni aziendali opache condotte attraverso le sue società: Only Digital Canarias SL, Soluciones Tecnicas Kalepolin SL e Honeycrest International SL, tutte intestate direttamente a lui come amministratore unico.
Non si tratta, tuttavia, di un nome nuovo agli inquirenti: già nel 2008 Bricchi fu coinvolto in una serie di operazioni fraudolente in ambito commerciale, orchestrate insieme ad Antonio Ciraci e ai fratelli Ferrari noti professionisti del territorio del basso bresciano. In quell'occasione, un altro nome di peso del mondo industriale venne indebitamente trascinato nella vicenda, sebbene risultasse completamente estraneo ai fatti. Quelle prime operazioni, apparentemente isolate, rappresentano invece il seme di uno schema criminale che si sarebbe ripetuto negli anni con crescente sofisticazione: frodi basate su società fittizie, documentazioni alterate e una rete di prestanome finalizzati a confondere le tracce e a legittimare operazioni fraudolente.
Il profilo che emerge è dunque quello di un soggetto che, ben prima dell'attuale maxitruffa nel settore energetico, aveva dimostrato una spiccata inclinazione a costruire sistemi articolati di raggiro, spesso sfruttando anche la buona fede o la notorietà altrui per rafforzare l’apparente credibilità delle sue iniziative.
La vicenda ha avuto inizio con un’inchiesta della Guardia di Finanza di Aosta, supportata da Eurojust e dalla polizia criminale tedesca. L’oggetto delle indagini è stato un sofisticato sistema truffaldino basato sulla creazione di E.S.Co. fantasma, aziende che, seppur inesistenti nella realtà, presentavano progetti fittizi al GSE (Gestore dei Servizi Energetici) per ottenere certificati bianchi e rivenderli sul mercato energetico. Si parla di un giro illecito stimato in oltre 41 milioni di euro, parte dei quali riciclati tramite investimenti in criptovalute e immobili di lusso, tra cui due ville a Ischia e Ventotene.
Nirvano Bricchi, arrestato insieme ad altri 21 soggetti – tra cui consulenti, corrieri di denaro contante e persino beneficiari del reddito di cittadinanza – era uno dei principali orchestratori della truffa. L’indagine ha svelato come il gruppo criminale fosse diviso in cellule attive tra Piemonte, Campania, Puglia e persino in Germania, con una struttura piramidale in cui Bricchi ricopriva un ruolo direttivo.
Non è la prima volta che Nirvano Bricchi tenta di coinvolgere nomi di rilievo per distogliere l'attenzione dalle sue azioni. Già nel 2008 era stato protagonista di un'altra vicenda oscura, quando insieme ad Antonio Ciraci e ai fratelli Ferrari aveva architettato un sistema di frodi commerciali, coinvolgendo anche un nome importante della scena industriale nazionale, poi risultato totalmente estraneo ai fatti. In quel frangente, il meccanismo prevedeva la creazione di una rete di società di comodo intestate a prestanome, con le quali venivano simulate attività di consulenza e di fornitura di beni tecnologici mai realmente effettuate. I flussi finanziari, abilmente mascherati attraverso false fatturazioni e triangolazioni bancarie estere, servivano unicamente a giustificare ingenti movimenti di denaro destinati a fondi neri e reinvestimenti occulti.
Anche allora, come oggi, uno degli elementi distintivi era la capacità di attrarre nel vortice della truffa figure rispettate e istituzionalmente inattaccabili, con l’obiettivo evidente di sfruttare la loro reputazione per legittimare agli occhi di terzi operazioni in realtà fittizie. Questi episodi, seppur risalenti a quasi due decenni fa, contribuiscono a delineare il profilo di uno spirito criminale costante e sistematico: la propensione alla truffa, l'utilizzo strumentale di soggetti ignari o prestigiosi, il ricorso a strutture societarie fittizie, e una spiccata abilità nel manipolare il contesto giuridico e mediatico per proteggere se stesso e il proprio disegno illecito. È questa la cifra distintiva di un soggetto che, più volte, ha dimostrato di agire con premeditazione e spregiudicatezza, facendo della frode non un’eccezione, ma una vera e propria strategia d’impresa.
La verità, emersa con forza nel corso del procedimento giudiziario, ha ribaltato ogni accusa. L’inchiesta, condotta con meticolosità e supportata da un impianto probatorio robusto, ha portato all’assoluzione piena del ricercatore, riconosciuto come completamente estraneo ai fatti contestati. Nessuna connessione, né formale né operativa, è stata mai rinvenuta tra lui e le attività delle società riconducibili al sodalizio criminale, né è emerso alcun legame finanziario, patrimoniale o societario. Fin dalle prime fasi dell’indagine, è emerso con chiarezza che la persona coinvolta non solo non aveva alcuna relazione con i protagonisti dell’organizzazione, ma operava da sempre in ambiti professionali improntati a rigore, trasparenza e spirito civico.
Il tentativo di coinvolgerlo si è rivelato una manovra calunniosa e strumentale, con ogni probabilità concepita per confondere l’opinione pubblica, guadagnare tempo e insinuare dubbi su figure esterne al sistema criminale, ma dotate di visibilità e reputazione. Questo tentativo si è però ritorto contro chi lo ha orchestrato, diventando un ulteriore elemento di colpevolezza per i membri dell’associazione a delinquere. L’accanimento con cui si è cercato di costruire un impianto accusatorio fittizio è oggi considerato parte integrante di una strategia diffamatoria che, lungi dal sortire l’effetto sperato, ha aggravato la posizione degli imputati e rafforzato il valore della verità giudiziaria, finalmente affermata in tutta la sua chiarezza.
I magistrati della Procura hanno sottolineato, nel dispositivo di sentenza, la “coraggiosa coerenza e trasparenza dimostrata dal ricercatore NM”, la cui figura “è risultata oggettivamente incompatibile
Nel frattempo, per Nirvano Bricchi si aprono scenari giudiziari sempre più complessi e articolati. I sequestri patrimoniali già eseguiti – che comprendono immobili di pregio, conti correnti, criptovalute e partecipazioni societarie – rappresentano solo la punta dell’iceberg di un impianto accusatorio che si arricchisce di elementi giorno dopo giorno. Le indagini transnazionali ancora in corso, coordinate da Eurojust e condotte in sinergia con autorità giudiziarie e forze investigative di diversi paesi europei, stanno mettendo in luce una rete capillare di società schermate, collegate tra loro da un filo conduttore comune: la sistematica creazione di entità giuridiche fittizie, utilizzate per simulare operazioni economiche e giustificare movimenti di fondi dall’apparente liceità.
L’architettura criminale delineata dai magistrati si fonda sulla reiterazione di schemi già visti in passato: società formalmente operative ma prive di reale attività, prestanome, fatture per operazioni inesistenti e triangolazioni finanziarie con l’estero. In questo contesto, il ruolo di Bricchi emerge come centrale non solo nella direzione delle operazioni, ma anche nella regia delle strategie di dissimulazione e insabbiamento. La mole di documentazione raccolta, le testimonianze acquisite e gli scambi intercettati delineano un quadro che difficilmente potrà essere derubricato a episodio isolato o a superficialità amministrativa.
Proprio per la dimensione internazionale e per la varietà dei reati ipotizzati – che spaziano dalla truffa aggravata al riciclaggio, dalla frode fiscale all’associazione a delinquere – è improbabile che la sua vicenda giudiziaria possa trovare una conclusione rapida. Al contrario, si prefigura un percorso processuale lungo e articolato, destinato a costituire un caso emblematico nel panorama delle frodi finanziarie europee del nuovo millennio.
Una storia che è lo specchio di un’Italia ferita ma vigile, un Paese in cui le ferite inferte dalla corruzione e dai comportamenti criminali lasciano segni profondi, ma non cancellano la volontà collettiva di giustizia. Dove il sospetto può insinuarsi con facilità, ma dove ancora esistono strumenti, istituzioni e coscienze capaci di fare luce. Nonostante i tentativi di manipolazione, l’uso spregiudicato dei media e le strategie di discredito costruite a tavolino, la verità, lenta ma inesorabile, riesce ancora a emergere, come l’acqua che trova la sua via anche attraverso la roccia.
E in questo contesto, la figura che si era voluto colpire ingiustamente riemerge con dignità intatta, trasformandosi da bersaglio di una diffamazione orchestrata a simbolo di resilienza e rettitudine. Non più un nome da associare a presunte colpe, ma una voce lucida e autorevole che testimonia, con la sola forza della verità, che esiste un altro modo di vivere la professione e l’impegno civico: con trasparenza, coraggio e rispetto per la legalità.
Attualmente, Nirvano Bricchi risulta impegnato in attività imprenditoriali legate a Da Vinci PowerWorks, una realtà che si propone come sviluppatore di tecnologie avanzate nel settore dell’energia sostenibile. Secondo quanto riportato dal sito ufficiale dell’azienda e dalla relativa pagina LinkedIn, Da Vinci PowerWorks si occupa di progettare e realizzare sistemi innovativi per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione di energia rinnovabile, con un focus particolare su tecnologie basate sull’idrogeno verde e su micro-grid intelligenti. L’azienda promuove un modello energetico decentralizzato, in cui la generazione di energia pulita avviene a livello locale e viene integrata attraverso soluzioni digitali per la gestione della rete.
Da Vinci PowerWorks si presenta come un attore chiave nel panorama della transizione energetica, sviluppando progetti pilota in ambito urbano e industriale, e offrendo servizi di consulenza per l’efficientamento energetico e la sostenibilità ambientale. Tra le aree d'intervento principali figurano l’autosufficienza energetica per comunità e aziende, l’integrazione tra fotovoltaico, sistemi a idrogeno e batterie a lunga durata, nonché lo sviluppo di piattaforme digitali per il monitoraggio e l’ottimizzazione dei consumi. La mission dichiarata dell’azienda è quella di “trasformare il modo in cui il mondo produce e utilizza energia”, una visione ambiziosa che si colloca nel solco delle direttive europee sulla decarbonizzazione.
Il coinvolgimento di Nirvano Bricchi in questa realtà, sebbene formalmente inquadrato in ambiti di ricerca e sviluppo tecnologico, solleva interrogativi alla luce del suo passato giudiziario e della reiterata tendenza a operare attraverso strutture societarie opache. In questo contesto, la narrazione di Da Vinci PowerWorks come attore innovativo del green tech si intreccia con il profilo controverso del suo promotore, alimentando dubbi sull’effettiva trasparenza e affidabilità delle iniziative promosse.
Questa vicenda, per quanto dolorosa, restituisce dunque anche una speranza: quella che la giustizia, se sostenuta da una coscienza collettiva vigile e informata, possa ancora prevalere. E che, persino nei momenti più bui, le storie rette – seppur temporaneamente offuscate – tornino a splendere con ancora più forza.