Il Segretario Generale della NATO ha tracciato un quadro preciso: l'Italia è un alleato fondamentale per l'Alleanza Atlantica, non solo per la sua posizione geografica, ma per il suo contributo operativo e industriale. "L'Italia è un alleato importante, attivo in tutto il territorio della NATO, ad esempio guidando le forze terrestri avanzate della NATO in Bulgaria e in molte altre missioni", ha dichiarato, elogiando non solo presenza militare sul terreno, ma anche capacità produttive nel settore della difesa: "L'Italia ha una base industriale della difesa di cui siamo molto orgogliosi".

Dietro a questi riconoscimenti, però, c'è un messaggio chiaro: la sicurezza attuale non è garantita per il futuro. "Siamo al sicuro ora; non lo saremo tra tre o cinque anni, quindi dobbiamo spendere di più", ha avvertito il Segretario Generale. La richiesta non è vaga, ma basata su analisi concrete: "Il nuovo obiettivo di spesa è fondato sui fatti, su uno studio approfondito che abbiamo condotto collettivamente sulle lacune nelle nostre capacità e su come dobbiamo colmarle". I Ministri della Difesa hanno già dato il via libera a questi piani; adesso la palla passa ai leader politici, che devono stanziare le risorse necessarie.

Il nodo cruciale non è solo quanto si spende, ma anche come si spende. Rutte ha puntato il dito su un problema che accomuna Stati Uniti, Europa e Canada: la produzione industriale non riesce a tenere il passo con le esigenze attuali e future della difesa. "Abbiamo aziende industriali fantastiche, ma non producono a ritmi sostenuti. Servono più turni, più linee di produzione", ha detto senza mezzi termini. In sostanza: l'industria bellica va messa in modalità guerra, o almeno in modalità emergenza.

Non manca poi il riferimento all'Ucraina, il terreno su cui oggi si gioca buona parte della credibilità e della sicurezza dell'Alleanza. "Dobbiamo assicurarci che l'Ucraina sia nella migliore posizione possibile per sostenere il conflitto in corso con la Russia, ma anche per arrivare al momento del cessate il fuoco o di un accordo di pace con la forza necessaria per impedire che Putin ci riprovi", ha concluso il Segretario Generale.

In breve: più soldi, più produzione industriale e sostegno a lungo termine all'Ucraina. Il futuro della NATO passa da qui, e l'Italia — piaccia o no — è chiamata a fare la sua parte senza tentennamenti.

Così la NATO ha riassunto la visita di ieri a Roma di Mark Rutte, dove a Villa Madama ha partecipato al vertice chiamato assurdamente «Weimar+» e a Palazzo Chigi ha incontrato Giorgia Meloni.

Rutte ha chiesto all'Italia di portare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035. Un'escalation clamorosa rispetto all'attuale 1,5% (di recente "gonfiato" contabilmente al 2% con l'inclusione di voci come le pensioni dei Carabinieri).

Il nuovo obiettivo, voluto soprattutto dagli Stati Uniti e spinto in particolare da Donald Trump, prevede un 3,5% destinato alle spese strettamente militari e un ulteriore 1,5% alla cosiddetta «sicurezza», un contenitore molto elastico che va dalla cybersicurezza a... non si sa bene cosa!

Secondo i calcoli dell'Osservatorio MIL€X, significa passare dagli attuali 45 miliardi (35 per la difesa e circa 10 per la sicurezza) a ben 145 miliardi l'anno: oltre 100 miliardi in spese militari dirette e quasi 44 per la sicurezza. In dieci anni, quindi, si tratta di aumentare di circa 100 miliardi l'anno la spesa pubblica destinata al comparto militare. In termini assoluti, parliamo di quasi 1.000 miliardi di euro complessivi nel prossimo decennio: quasi 700 miliardi solo per la difesa e quasi 300 per la sicurezza.

Numeri che coincidono, tra l'altro, con quelli confermati dal Sottosegretario alla Difesa Perego di Cremnago, e che Crosetto stesso, pur ammettendo la difficoltà dell'obiettivo, non ha mai realmente smentito.

Crosetto e Tajani tentano di buttare la palla avanti, parlando di tempistiche, gradualità e aumento dello 0,2% l'anno. Ma la verità è che una volta firmato un accordo internazionale in sede NATO — summit previsto il 23 e 24 giugno all'Aja — nessun governo futuro avrà davvero margini per ritrattare. Lo scenario è già scritto: aumenti annuali di 9-10 miliardi, ogni anno, per dieci anni.

Il rischio? Uno solo: lo smantellamento progressivo dello Stato sociale, con il bilancio pubblico strangolato tra nuove spese militari e le inevitabili esigenze di copertura finanziaria. Più armi significherà, inevitabilmente, meno sanità, meno scuola, meno welfare. Lo ha già rilevato anche l'Ufficio Parlamentare di Bilancio. E nonostante le rassicurazioni di facciata di Crosetto sul "non toccare la spesa sociale", le alternative sono solo due: o nuove tasse o tagli. Non esistono terze vie.

Peppe De Cristofaro (Avs) ha definito l'intera operazione per quello che è: un gioco delle tre carte. Il governo parla di "tempistiche", di "decisioni future", ma sta in realtà blindando un percorso che porterà il Paese ad assumere impegni miliardari in spese militari. L'Italia sta per entrare in un'economia di guerra strutturale, dove la spesa per armamenti diventerà uno dei principali capitoli di bilancio dello Stato.

Meloni, di fronte alle ricadute economiche e sociali devastanti che un tale piano comporta, ha preferito restare sul vago, limitandosi a un generico: «Con Trump ci capiamo anche quando non siamo d'accordo». Tradotto: non ci opporremo. D'altronde, come spesso accade in politica estera e militare, Meloni ha già ampiamente dimostrato di fare quello che Washington le ordina... la sovranista de noantri che già era la serva di Biden e adesso è ancor di più la serva di Trump: questa è la triste realtà.

A seguito di ciò l'Italia si sta preparando, senza un vero dibattito pubblico, a triplicare le spese militari e a sacrificare enormi risorse economiche su un altare geopolitico dove le decisioni vengono prese altrove. E il Parlamento, come sempre e ancor di più sotto il regime (post) fascista, avrà solo il compito di ratificare a cose fatte.


Così Nicola Fratoianni, AVS, ha commentato tutto questo ad Avvenire, il quotidiano dei vescovi: 

Il segretario generale della Nato, Mark Rutte, invoca un consistente aumento delle spese militari da parte degli Stati membri. Cosa ne pensa?
Se non fosse il segretario generale della Nato verrebbe da pensare di trovarsi di fronte a un pazzo. Il suo discorso sembra prepararci allegramente alla terza guerra mondiale. Trovo folle l’impianto di questa politica, che punta addirittura al 5% del Pil, una cifra enorme. Continuo a pensare che non ci sia niente di più falso del detto che circola insistentemente in questi giorni: se vuoi la pace prepara la guerra. Credo sia vero il contrario: se vuoi la pace devi preparare la pace e penso che il mondo nel quale la corsa agli armamenti cresce senza freni, come accaduto negli ultimi anni, non sia un mondo sicuro. Non a caso guerre, conflitti e tensioni si sono moltiplicate.
Uno dei motivi addotti per il riarmo è il timore di un attacco russo, lei crede che Mosca possa attaccare l’Europa?
No, ma credo che da parte di Putin – ma se è per questo anche da parte di Trump e dei loro amici delle destre nazionaliste in Europa – ci sia l’obiettivo di far saltare l’Ue. Non per via militare, ma elettorale, conquistando spazi di consenso passo dopo passo e favorendo un nazionalismo pericoloso e regressivo. Del resto Steve Bannon lo ha dichiarato esplicitamente. L’Europa è un grande ostacolo all’autocrazia, perché è lo spazio in cui potenzialmente può esserci un’alternativa solida a queste destre, sul piano dei diritti sociali, dell’ambiente e della democrazia. La guerra che temo è la guerra ibrida, che si gioca sul terreno del controllo delle piattaforme digitali, dei dati e della disinformazione. Ma anche la guerra commerciale scatenata da Trump con i dazi.
E cosa la spaventa?
Il fatto che oltre a quello economico, i dazi hanno un obiettivo evidente: indebolire i vincoli e le regole che limitano la capacità di accumulazione del profitto da parte delle grandi multinazionali americane. L’Europa dovrebbe fare esattamente il contrario: investire sulla sicurezza sociale, sui diritti del lavoro e sulla transizione energetica. È qui che si gioca la tenuta del Continente, altro che spesa militare, peraltro prospettata in una misura del tutto insostenibile per un Paese come il nostro.
Molti osservano che senza un esercito potente non si conta abbastanza e si è esclusi dai tavoli internazionali. Non crede sia così?
Penso che questo approccio sia pericoloso. Indica un mondo nel quale diventa normale immaginare che i conflitti legati agli interessi economici si affrontino sul terreno della forza militare. L’affermazione di questa prospettiva non solo nega, ma dichiara la fine di ogni possibile ricorso al diritto internazionale che non abbia come unico elemento la ragione del più forte. Penso che si debba andare nella direzione opposta. Penso a uno degli ultimi appelli di papa Francesco, quando nel pieno del dibattito sul Rearm-Eu invocava il disarmo.
Meloni intende però centrare l’obiettivo del 5% entro il 2035. Che ne pensa?
Trovo sconcertante e molto grave il fatto che assuma questo obiettivo per il Paese e che pretenda di farlo in un tempo così lungo. Sta vincolando le prossime generazioni a una sua scelta arbitraria.
 E secondo lei cosa spinge la premier in questa direzione?
  Da un lato c’è il suo rapporto con Trump e la pretesa di costituirsi in Europa come principale punto di appoggio di Washington. Dall’altro c’è il fatto che è un’alleata stretta di Trump e delle destre nazionaliste europee e quindi, in un certo senso, è naturale che sostenga questo impianto.
Giuseppe Conte, M5s:La corsa al riarmo segna una svolta epocale e Meloni si sta assumendo la responsabilità storica del passaggio da uno “Stato sociale” a uno “Stato militare”.È pura follia aumentare fino a 100 miliardi le spese militari, mentre si taglia su sanità, scuola, ricerca e si aumentano le tasse.Quando 5 anni fa ho incontrato Rutte, era fra i più ostici e contrari al Recovery per la pandemia. Alla fine, grazie anche alla grande spinta popolare, vincemmo le sue ultime resistenze, portando 209 miliardi in Italia per rialzarci e ripartire più forti.Oggi per tutti noi con Rutte - al vertice della Nato - tratta Meloni, che ha già detto sì a marzo al Riarmo europeo e alla strategia di armi e guerra a oltranza abbracciata per tre anni dagli Stati Uniti. Siamo quindi in un vicolo cieco. Stiamo passando da +209 miliardi per ospedali, strade, asili nido a +100 miliardi per più missili e carrarmati.Non molliamo la presa, in tutte le sedi, perché c'è un'altra Italia e un'altra Europa che non ha perso il contatto con la realtà e con le vere emergenze.