Entro tre mesi i talebani avranno probabilmente conquistato anche Kabul la capitale afghana, completando la riconquista del territorio, perso dopo l’arrivo delle forze Nato venti anni fa.

Mille miliardi di dollari, 2mila soldati uccisi, e anni di controllo del territorio non hanno prodotto altro risultato che quello di destabilizzare ulteriormente la zona, creando un governo fantoccio non in grado di reggersi autonomamente. Il governo di Ghani è, infatti, in caduta libera e i vertici dei servizi di sicurezza afghani sono in totale confusione e non in grado di gestire la difficile situazione.

Mercoledì, Ghani ha annunciato la cacciata del ministro della difesa dell'Afghanistan, Hayatullah Hayat, e l'elevazione del generale Bismillah Khan Mohammadi come suo sostituto. Laureato all'Accademia militare di Kabul ed ex membro del Partito democratico popolare afghano, sostenuto dai sovietici, Khan ha puntato sul posto di vertice dell'esercito afghano da quando è stato nominato capo di stato maggiore dell'esercito nel 2002. Ghani ha anche sostituito il capo dell'esercito uscente del personale, il generale Wali Ahmadzai, con il generale Hibatullah Alizai, che solo otto mesi fa è diventato comandante del corpo d'elite per le operazioni speciali del paese. Lo scuotimento ai vertici dell'esercito afgano è stato solo l'ultimo di una serie di segnali che la presa di Ghani su elementi chiave del potere del governo si sta indebolendo.

All'inizio di questa settimana, i social media afgani erano in fermento con la notizia che un ex senatore afghano e noto capo della milizia filo-governativa, Mohammad Asif Azimi, aveva disertato a favore dei talebani, lasciando la provincia settentrionale di Samangan sotto il loro controllo.

Il rimpasto di questa settimana è arrivato quando Ghani ha effettuato una visita di emergenza nella città settentrionale di Mazar-i-Sharif e i talebani hanno continuato a sopraffare le roccaforti strategiche del governo in tutto il paese.

Mentre tutti gli occhi sono naturalmente attratti dalla spettacolare violenza e dalle scene di carneficina dalla rapida avanzata territoriale dei talebani in tutto il paese, la maggiore minaccia alla stabilità dell'Afghanistan è sempre stata l'incoscienza di così tanti in posizioni di potere nel governo afghano.

La decisione unilaterale presa da Biden di ritirare le truppe dal territorio afghano, anche se certo non sorprendente, non può non destare preoccupazione soprattutto negli Europei, che hanno partecipato alla missione e che ora rischiano di pagare lo  scotto più pesante in quella che sempre più appare come una nuova Saigon.

L’Europa ancora una volta ha mostrato al mondo tutta la sua impotenza e irrillevanza a livello di politica estera, già ampiamente mostrata in altri scottanti dossier, come quello libico, siriano o nel Nagorno Karabah.

Due giorni fa l’avanzata talebana è arrivata ad Herat, la terza città del paese, che è stata la base del contingente italiano, per la difesa del quale, come ha giustamente fatto notare l’eurodeputato di fdi Carlo Fidanza il nostro paese ha pagato un pesante tributo di sangue: “Fa male leggere le notizie che arrivano dall’Afghanistan. Fa male ripensando ai nostri 53 militari che laggiù ci hanno lasciato la vita per costruire un futuro di pace e sicurezza e il cui sacrificio è stato reso vano da una ritirata sbagliata e precipitosa. Torneranno il terrore e le minacce alla sicurezza internazionale, avremo tantissimi richiedenti asilo che non sapremo gestire, la Cina farà di Kabul un nuovo avamposto per la sua egemonia globale. Una pagina buia per tutto l’Occidente.”

Eh sì, perché pare proprio inevitabile che ora tutto passi nelle mani della Cina, che non a caso la settimana scorsa ha accolto una delegazione talebana a Pechino per avere rassicurazioni dirette sulla stabilizzazione del territorio, che assume un rilievo assai strategico per il dragone cinese. Sia in chiave economica, vista la ricchezza di idrocarburi e di materiali rari sul suolo afghano e sia sul piano politico militare in funzione anti-pachistana e anti-indiana.

Come in Libia e in Siria Turchia e Russia hanno approfittato del nuovo corso della politica estera americana, molto più improntato sul America first e molto meno sul controllo internazionale, così in Afghanistan i cinesi sono pronti a prendere in mano la situazione. L’Europa da decenni senza una vera politica estera deve fare da spettatore e subire tutti i risvolti possibili di questa nuovo ordine geopolitico sicuramente molto più spostato ad oriente. Oltre al rischio molto probabile di nuovo arrivi di rifugiati, in fuga dal regime, esiste anche il concreto rischio di una nuova recrudescenza del terrorismo che molto probabilmente avrebbe come principale obiettivo proprio le grandi città europee.

Ecco perché la decisione americana prese unilateralmente avrebbe avuto bisogno di una maggiore gradualità proprio per evitare tutto quello che sta accadendo in queste ore. L'Europa dopo aver subito la decisione di scatenare un'offensiva in un territorio assai impervio e difficile, come l’invasione russa aveva ben dimostrato, ora a ben ragione avrebbe dovuto far sentire la sua voce con alleato americano e richiedere una maggiore gradualità nel ritiro.

Ma fino a che l’Europa non si doterà di una propria politica estera che possa fare sentire la sua voce nei grandi tavoli  internazionali, ogni sforzo risulterà vano. Ma questo è un altro discorso e riguarda il fatto che fino a che sarà più importante decidere il calibro delle arance o le quote latte che prendere iniziative comuni su temi come quelli della immigrazione o sulle politiche economiche o di salute pubblica o appunto di politica estera, non si potrà parlare di una vera Unione europea.