A chiusura del viaggio in Myanmar e Bangladesh, il Papa, sull'aereo che lo ha riportato a Roma, ha tenuto la classica conferenza stampa rispondendo alle domande dei giornalisti al seguito. Rispetto al passato, Bergoglio non ha rilasciato dichiarazioni "sorprendenti". Le parole con cui ha risposto alle domande sono state sincere ma anche... diplomatiche.

Diplomazia cui il Papa, come ha spiegato ai giornalisti, ha fatto riferimento anche durante la visita in Myanmar, rispondendo a chi gli ha chiesto il perché abbia nominato il termine rohingya per la prima volta solo quando è arrivato in Bangladesh.

«La sua domanda è interessante perché mi porta a riflettere su come io cerco di comunicare. Per me, la cosa più importante è che il messaggio arrivi - ha risposto papa Francesco a Sagrario Ruiz de Apodaca (Radio Nacional de España) - e per questo cercare di dire le cose passo dopo passo e ascoltare le risposte, affinché arrivi il messaggio.

Per esempio... un esempio dalla vita quotidiana: un ragazzo, una ragazza nella crisi dell’adolescenza può dire quello che pensa, sbattendo la porta in faccia all’altro e il messaggio non arriva, si chiude.

A me interessa che questo messaggio arrivi. Per questo, ho visto che se nel discorso ufficiale [in Myanmar] avessi detto quella parola, avrei sbattuto la porta in faccia. Ma ho descritto le situazioni, i diritti di cittadinanza, "nessuno escluso", per permettermi nei colloqui privati di andare oltre.

Io sono rimasto molto, molto soddisfatto dei colloqui che ho potuto avere, perché è vero, non ho avuto – diciamo così – il piacere di sbattere la porta in faccia, pubblicamente, una denuncia, no, ma ho avuto la soddisfazione di dialogare, di far parlare l’altro, di dire la mia e così il messaggio è arrivato.

E a tal punto è arrivato, che è continuato e continuato ed è finito ieri con quello. E questo è molto importante, nella comunicazione: la preoccupazione che il messaggio arrivi. Tante volte, le denunce, anche nei media – non voglio offendere –, con qualche dose di aggressività chiudono il dialogo, chiudono la porta e il messaggio non arriva. E voi, che siete specialisti nel fare arrivare messaggi, capite bene questo.»


Un giornalista indiano, George Abraham Kallivayalil (Deepika Daily), ha chiesto a Bergoglio se dopo già nel 2018 potrà andare in India. Questa è stata la risposta.

«[In questo viaggio] il primo piano era di andare in India e in Bangladesh; ma poi le procedure sono andate per le lunghe, il tempo premeva e ho scelto questi due Paesi. Il Bangladesh è rimasto, ma con il Myanmar. E’ stato provvidenziale, perché per visitare l’India ci vuole un solo viaggio: devi andare al sud, al centro, all’est, all’ovest, al nord… per le diverse culture dell’India. Spero di poterlo fare nel 2018, se vivo! Ma l’idea era l’India e il Bangladesh. Poi il tempo ci ha costretto a fare questa scelta. Grazie.»

Infine, un altro argomento di rilievo della conferenza stampa è stata la risposta data a Joshua McElwee (National Catholic Reporter) alla domanda «e Lei che cosa dice ai politici che non vogliono rinunciare agli arsenali nucleari e neanche diminuirli?

«34 anni. Nel nucleare, in 34 anni, si è andati oltre, oltre, oltre. Oggi siamo al limite. Questo si può discutere, è la mia opinione, ma la mia opinione convinta: io ne sono convinto. Siamo al limite della liceità di avere e usare le armi nucleari.

Perché? Perché oggi, con l’arsenale nucleare così sofisticato, si rischia la distruzione dell’umanità, o almeno di gran parte dell’umanità. Per questo collego con la “Laudato si’”. Che cosa è cambiato? Questo.

La crescita dell’armamento nucleare. E’ cambiato pure… Sono [armamenti] sofisticati e anche crudeli, sono capaci anche di distruggere le persone senza toccare le strutture… Siamo al limite, e poiché siamo al limite io mi faccio questa domanda - non come Magistero pontificio, ma è la domanda che si fa un Papa -: oggi è lecito mantenere gli arsenali nucleari, così come stanno, o oggi, per salvare il creato, salvare l’umanità, non è necessario andare indietro? Torno a una cosa che avevo detto, che è di Guardini, non è mia.

Ci sono due forme di “incultura”: prima l’incultura che Dio ci ha dato per fare la cultura, con il lavoro, con l’investigazione [la ricerca] e avanti, fare cultura. Pensiamo alle scienze mediche, tanto progresso, tanta cultura, alla meccanica, a tante cose.

E l’uomo ha la missione di fare cultura a partire dalla incultura ricevuta. Ma arriviamo a un punto in cui l’uomo ha in mano, con questa cultura, la capacità di fare un’altra incultura: pensiamo a Hiroshima e Nagasaki. E questo 60, 70 anni fa. La distruzione.

E questo succede anche quando nell’energia atomica non si riesce ad avere tutto il controllo: pensate agli incidenti dell’Ucraina. Per questo, tornando alle armi, che sono per vincere distruggendo, io dico che siamo al limite della liceità