Dal 30 marzo, ci informa l'Unicef, oltre 1000 minori, anche bambini, sono rimasti feriti nella Striscia di Gaza. Molte di quelle ferite sono gravi, tanto da prevedere anche amputazioni e, per forza di cose, cambieranno radicalmente la loro vita.
Le recenti violenze subite dai palestinesi ad opera delle forse di sicurezza israeliane hanno indebolito ulteriormente il già precario sistema sanitario della Striscia di Gaza, messo a dura prova dalle continue interruzioni di corrente, dalla carenza di carburante, medicinali e attrezzature.
Ed in seguito alla repressione israeliana, le strutture sanitarie si stanno sgretolando sotto la pressione delle migliaia di feriti, molti dei quali hanno lesioni complesse e potenzialmente letali.
"L’intensificarsi delle violenze ha aggravato la situazione dei bambini, le cui vite già da diversi anni sono estremamente difficili. I bambini - scrive l'Unicef in una nota - dovrebbero essere protetti, non essere presi di mira, utilizzati nelle violenze o messi in situazioni di pericolo."
Ma come spiega Anwar Ghandur, il padre di Leila, la bimba di otto mesi soffocata lunedì dai gas lacrimogeni lanciati dagli israeliani, in una intervista realizzata da Michele Giorgio per il Manifesto, «la mia bimba era molto lontana dalle barriere. Era con la mamma, la nonna e la zia in una tenda (ad est di Shajayie, ndr) dell’accampamento.
Mia moglie mi ha detto che ad un certo punto sopra ed intorno alla tenda sono caduti diversi candelotti lacrimogeni sganciati da un drone israeliano. La tenda è stata avvolta in una nuvola di fumo, sono scappate... ma Leila nel frattempo aveva inalato molto gas. Ha perduto i sensi subito, all’ospedale è arrivata morta.»
Ma per Israele lanciare gas lacrimogeno su tende che stanno a molte centinaia di metri dalle barriere che segnano il confine tra la Striscia di Gaza e lo Stato ebraico è giusto perché quelle tende sarebbero "basi di lancio" per la preparazione di attacchi alle barriere e attentati, anche se dal 30 marzo nessuno ne ha mai avuto notizia.