L’esegesi cristiana legge in un passo veterotestamentario del profeta Isaia l’annuncio della venuta di Gesù Cristo "Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele" Isaia(7,14); l’evangelista Matteo riporta il passo di Isaia quando scrive a proposito di Giuseppe "gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele", Matteo (1,20).

Analizzando il passo si comprende che il profeta Isaia parlando di questo figlio che nascerà si riferisce a qualcosa di molto più immediato e concreto; il contesto è quello della guerra siro-efraimitica (VIII secolo a.C.), Isaia parla ad Acaz (re di Giuda) che di fronte alla possibilità di essere detronato si rifiuta di credere alla profezia secondo cui non avrebbe perso il suo potere. Nonostante la rassegnazione di Acaz, Isaia risponde che avrebbe avuto un segno da parte di Dio, in ogni caso, e qui si inserisce il passo Isaia (7,14); è infatti la stessa Bibbia di Gerusalemme a scrivere in nota "Isaia ha in vista immediatamente la nascita di un figlio di Acaz, per esempio Ezechia, come sembra probabile a dispetto delle incertezze della cronologia". (1)

Oltre alla sua concretezza, il passo di Isaia presenta due errori di traduzione: il termine "vergine", assente nel testo ebraico e i verbi "concepirà" e "partorirà" che nel testo ebraico non si presentano al futuro: il termine che viene tradotto con concepirà, in ebraico è un aggettivo (harah) che significa "incinta" mentre l’atto del partorire si presenta nella forma "partorente", quindi al participio e non al futuro.

Il passo di Isaia riporta il termine ebraico almah che nella versione greca dei Settanta viene tradotto con parthenos; la traduzione di parthenos con vergine è corretta, ma in ebraico almah non significa vergine ma "ragazza" o "giovane donna", il termine ebraico per vergine esiste ed è betulah. Tant’è che nel Cantico dei cantici il plurale del termine almah, compare insieme a "regine e concubine", tutt’altro che vergini. (2)

Traduzione confermata dalla Bibbia di Gerusalemme che riporta in nota che almah "designa sia una giovane sia una donna appena sposata, senza esplicitare ulteriormente".
Per quanto riguarda il verbo "partorirà" è da segnalare che la conferenza episcopale tedesca ha deciso di redigere una nuova "traduzione unificata" e che nelle Bibbie stampate dal 2017 il sopracitato passo di Isaia reciterà queste parole "la vergine ha concepito e partorisce un figlio" aggiungendo in nota cha almah non significa vergine.

I cristiani non furono i primi a leggere l’Antico Testamento in chiave allegorica. L’interpretazione dell’Antico Testamento divenne più "aperta" a partire dalla versione dei Settanta (III a.C.) (3), ma fu con Filone di Alessandria vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. che si arriva a leggere l’Antico Testamento in chiave platonica: egli interpreta il demiurgo come il Dio creatore ebraico.

A partire dalla fine del II secolo emerge culturalmente l’ambiente cristiano di Alessandria ed è dalla lettura allegorica di Filone che partono le interpretazioni dei Padri della Chiesa Clemente Alessandrino (150 ca.-215 ca.) e Origene (185-254), se per Filone l’Antico Testamento prefigura realtà cosmologiche e psicologiche (es. il viaggio di Abramo rappresenta la migrazione dell’anima), per i pensatori cristiani l’Antico Testamento prefigura il Nuovo Testamento: «Clemente fa sfoggio delle sue ampie letture di autori classici, che considera propedeutici per poter affrontare lo studio approfondito della Scrittura, e nel continuo riferirsi a questa fa uso indiscriminato dei più vari procedimenti allegorizzanti: egli infatti, convinto, come già Filone, che il linguaggio religioso prediliga l’espressione simbolica e coperta, non accessibile a chi è ignorante e indegno, alterna senza ordine né remora l’interpretazione tipologica ormai tradizionale in ambito cristiano.» (4)

Il processo di "allegorizzazione" dell’Antico Testamento si avverte già in Paolo quando ad esempio scrive nella Lettera ai Gàlati che i figli di Abramo Ismaele (nato dalla schiava Agar) e Isacco (nato dalla moglie Sara) sono la prefigurazione di giudei e cristiani: «Ora queste cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due alleanze. Una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar – il Sinai è un monte dell’Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la madre di tutti noi» (Gal 4,24); si potrebbero fare altri esempi: Rom 9,6; Rom 2,28; 1Cor 9,9; 1Cor 10,1; per Paolo la «lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6).

Tornando ad Isaia, la conferenza episcopale tedesca non ha fatto altro che riportare la traduzione "più corretta", restituendo dignità al testo originale ebraico e contemporaneamente spazzando via del tutto la presunta profezia della venuta di Cristo nato da una vergine. Le altre conferenze episcopali dovrebbero seguire l’esempio tedesco?


Note
(1) La Bibbia di Gerusalemme, EDB (edizione italiana 2009); Edizione per lo studio (pg.1718)
(2) Gesù, l’invenzione del Dio cristiano, Paolo Flores d’Arcais (add editore, 2011)
(3) Traduzione fatta da ebrei di cultura greca per la biblioteca di Alessandria, versione abbandonata dagli
ebrei a partire dal I secolo d.C.
(4) Letteratura cristiana antica, M. Simonetti, E. Prinzivalli (Piemme, II edizione 2007)

di Umberto Iacoviello