I prefetti aprono ai permessi di soggiorno per i richiedenti asilo assunti in fabbrica. Politici e imprenditori gioiscono.
Intanto tagliano i salari in una zona con disoccupazione giovanile al 60%.


di Luigi Falché

Segretario Provinciale Federazione di Caserta,
Movimento Idea Sociale.

Come si fa ad  abbassare il costo del lavoro se  non si è in grado   di ridurre le tasse sul lavoro?

Semplice: è sufficiente far lavorare gli immigrati al posto degli italiani.

Basta infatti ingaggiare non gli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno; ma direttamente i profughi, anche quelli ancora sprovvisti dello status di rifugiato, cioè la maggioranza.

I prefetti possono consentire l”impiego nelle fabbriche della zona di migranti in attesa di definizione della propria pratica di protezione umanitaria. Tradotto, significa che i giovanotti ospiti dei centri di accoglienza, e il cui destino di profugo non è ancora stato definito dalle commissioni chiamate a valutare la domanda, nell'attesa possono essere utilizzati nelle aziende come normali lavoratori.

La soluzione escogitata pare la seguente: una specie di stage formativo per imparare un mestiere, senza retribuzione, ma con un pagamento limitato al rimborso spese. Superato il periodo, gli aspiranti profughi possono essere inquadrati con un contratto di apprendistato. In pratica, in questo modo gli extracomunitari non solo ottengono un salario, anche se limitato, ma hanno la possibilità di vedere  accolta la richiesta di restare in Italia. Con il trucco dell'integrazione e della formazione, inizialmente gratuita, gli immigrati trovano casa e lavoro.

Nonostante i giovani interessati non siano né perseguitati né in fuga da una guerra, ma semplici migranti economici, e dunque non abbiano secondo legge diritto ad ottenere lo status di profugo, siccome hanno un lavoro, anche se non assunti perché non è possibile farlo senza un permesso, possono comunque ottenere proprio per motivi di lavoro la protezione umanitaria. Insomma, fatta la legge, trovato l'inganno. Tutto nel rispetto delle norme, certo: sia mai che un rappresentante dello Stato non metta in pratica i provvedimenti dello Stato. I permessi di soggiorno sono rilasciati con il riconoscimento dei «percorsi di integrazione sociale attraverso gli inserimenti lavorativi». Gli extracomunitari in cerca di lavoro non sono profughi e non dovrebbero stare in Italia, ma siccome ci stanno e siccome pende qualche ricorso contro il diniego allo status di rifugiato, intanto li integriamo facendoli lavorare, poi si vedrà.

Finalmente. Gli avvocati sono contenti. Gli immigrati gioiscono. Le aziende fanno festa perché i contratti di assunzione sono retribuiti con somme che oscillano fra i 500 e gli 8oo euro, con contribuzione a carico dello Stato e dunque «fondamentali» per i loro bilanci. Si rallegra anche la politica che in questo modo toglie dalla  strada un po' di stranieri, evitando che chiedano l'elemosina agli angoli delle strade. Al dunque, un successo. Con soli due piccoli nei. Come si concilia una misura che attira immigrati come il miele le mosche con le dichiarazioni del segretario del Pd, il quale nel suo recente libro ha scoperto che gli stranieri «non si possono accogliere tutti ma vanno aiutati a casa loro»? E soprattutto, come lo si spiega questo nuovo «indirizzo giurisprudenziale», con cui si dà lavoro a chi nei fatti sarebbe un clandestino, al 60 per cento di disoccupati registrato lo scorso anno fra i giovani campani?

Mah...

Luigi Falché Segretario Provinciale Federazione di Caserta 
Movimento Idea Sociale