La Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia è chiamata a valutare una denuncia contro il governo italiano per ostacolo all’amministrazione della giustizia» ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma. I nomi della premier Giorgia Meloni, del ministro della Giustizia Carlo Nordio e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sono indicati in una comunicazione legale presentata da un rifugiato sudanese, vittima di torture in Libia, che accusa le autorità italiane di aver impedito l’esecuzione del mandato di cattura internazionale contro il generale libico Abdulrahman Almasri, sospettato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.  

Il generale Almasri è accusato di aver gestito centri di detenzione in Libia dove migliaia di migranti e rifugiati subivano abusi sistematici. Un mandato di cattura della CPI, per crimini commessi tra il 2016 e il 2021, è stato disatteso dalle autorità italiane quando Almasri è arrivato nel nostro Paese. Dopo un breve fermo, la Corte d’Appello di Roma ne ha disposto il rilascio, consentendogli di rientrare a Tripoli con un volo organizzato dai servizi segreti italiani.  

A sollevare il caso è un cittadino sudanese del Darfur, rifugiato in Francia, che nel 2019 aveva già denunciato alle autorità internazionali le torture subite insieme alla moglie dopo essere stati intercettati in mare dalla Guardia Costiera libica. Attraverso gli avvocati Juan Branco e Omer Shatz, legati all’organizzazione Front-Lex, l’uomo ha presentato una comunicazione di 23 pagine alla CPI, sostenendo che l’Italia abbia «abusato dei propri poteri esecutivi» per proteggere Almasri, violando gli obblighi internazionali.  

Nella denuncia, si fa riferimento all’articolo 70 paragrafo c dello Statuto di Roma, che punisce chi «ostacola la testimonianza di un teste» o interferisce con le indagini della Corte. Secondo gli avvocati, l’insabbiamento della consegna di Almasri rientrerebbe in un modello più ampio di complicità italiana ed europea con le milizie libiche, già denunciato nel 2019 con accuse a ex premier e ministri italiani.  

Il documento contiene alcuni errori, come l’affermazione che Almasri sia rimasto in Italia per 12 giorni, mentre in realtà vi ha soggiornato dal 18 al 22 gennaio. Gli avvocati Branco e Shatz hanno annunciato correzioni, dopo che la procura della CPI ha confermato l’acquisizione degli atti.  

Fonti del Tribunale dell’Aja hanno tuttavia precisato che «non ci sono casi aperti contro il governo italiano o indagini su pubblici ufficiali». La CPI riceve centinaia di segnalazioni l’anno, e i tempi per valutare l’apertura di un’indagine formale sono lunghi. Al momento, Meloni, Nordio e Piantedosi non risultano iscritti nel registro degli indagati.  

La procura della CPI dovrà ora decidere se aprire un’indagine preliminare. Se ciò avvenisse, sarebbe la prima volta che un governo Ue di uno Stato firmatario dello Statuto di Roma finirebbe sotto inchiesta per ostacolo alla giustizia internazionale. Intanto, il caso riaccende il dibattito sul ruolo dell’Italia nella gestione dei flussi migratori libici e sulle possibili complicità con entità accusate di crimini contro i diritti umani.  

Il percorso è però incerto: come ricordato dalle stesse fonti dell’Aja, le procedure della CPI sono lente e complesse. Anche se la denuncia dovesse procedere, qualsiasi sviluppo concreto richiederebbe anni, in un contesto dove la giustizia internazionale fatica a ottenere collaborazione dagli Stati.  



Fonte: Avvenire