Il copione è sempre lo stesso: arriva l'estate, scarseggiano i temi su cui fare propaganda e la Lega rispolvera il fantasma dell'islamizzazione dell'Italia. Questa volta tocca a una risoluzione presentata alla Camera dal deputato Rossano Sasso — subito amplificata dall'europarlamentare e fresca vicesegretaria del partito Silvia Sardone — che chiede di vietare il velo alle bambine nelle scuole e di sottoporre ogni attività collegata all'Islam all'autorizzazione preventiva delle famiglie. Traduzione: i musulmani vanno trattati come sospetti a priori, non come cittadini con gli stessi diritti degli altri.

Sasso parla di "integrazione al contrario" e snocciola episodi scolastici estrapolati dalla cronaca: gite in moschea, scuole chiuse per il Ramadan, bambini che imparano come si indossa l'hijab. Peccato che meno di un alunno su venti in Italia provenga da famiglie musulmane: cifre talmente basse da rendere ridicola ogni idea di "invasione". Eppure la Lega ricicla la teoria del complotto sulla sostituzione etnica per galvanizzare la propria base.

 In conferenza stampa Sardone è andata giù pesante: «Con queste temperature nessuna donna libera ha voglia di andare in giro con un sacco dell'immondizia addosso». Un attacco frontale che ha provocato l'immediata reazione delle opposizioni. Ouidad Bakkali (PD) ha bollato l'uscita come "odio gratuito", mentre Elisabetta Piccolotti (Avs) ha accusato la Lega di voler "scatenare la guerra di religione". Ma lo scopo era proprio quello: incendiare il dibattito con frasi choc per guadagnare copertine e click.

Gli articoli 8 e 19 della Costituzione tutelano la libertà di fede e di espressione religiosa e l'Islam, pur non avendo ancora un'intesa formale con lo Stato, gode degli stessi diritti di qualunque altra confessione. Dire che è "incompatibile" equivale a violare la carta fondamentale. Ma per il Carroccio questi sono dettagli.

Il paradosso è evidente: per "liberare" le donne dai presunti diktat religiosi, la Lega pretende di imporre per legge cosa possano o non possano indossare. Dall'Iran all'Italia, cambiano i protagonisti ma non l'esito: il corpo femminile diventa terreno di scontro politico, utile a colpire una minoranza e raccattare consenso facile. Non è emancipazione; è paternalismo condito di xenofobia.

Sul piano pratico, vietare l'hijab nelle aule non porterà un solo libro di testo in più, non aprirà una mensa scolastica, non risolverà la cronica carenza di docenti. Però tiene vivi like e follower: la benzina della politica urlata. Nel frattempo si alimenta il rancore sociale, si fa passare l'idea che l'inclusione sia una minaccia e si distrae l'elettorato dai nodi irrisolti — dalla sanità alle buste paga.

La mossa di Sasso e Sardone è l'ennesimo capitolo di una campagna d'odio che sfrutta le paure per restare a galla. Nessun dato supporta lo spauracchio dell'islamizzazione, mentre la Costituzione smonta punto per punto la pretesa di discriminare chi porta un velo. Ma alla Lega interessa davvero la coesione sociale? A giudicare dal copione riciclato ogni estate, la risposta è già scritta.

C'è anche un'ulteriore curiositè che i due parlamentari d'accatto, Sasso e Sardone, dovrebbero chiarire. Vista la crociata per la liberazione della donna di cui si sono fatti paladini, perché questa non prende di mira anche il tichel o lo sheitel delle donne di religione ebraica? E perché non chiedono in Italia e in Europa il divieto delle regole dello tzniut per come sono imposte alle donne Haredi?

Così... per curiosità... perché Sardone non definisce immondizia anche il tichel e lo sheitel? Inoltre, è in grado Sardone - lo stesso vale per il suo collega Sasso - di spiegarci il perché, prendendo spunto dall'immagine di inizio articolo, se la prendono con il velo islamico, mentre non hanno nulla da dire contro quello ebraico?