I Romani si consideravano religiosissimi mortales. Questa definizione può essere vera per il passato remoto di Roma, quando venivano officiati con scrupolo e paura reverenziale i culti ed i riti sacri. Non è vera invece per l' avanzata età storica, in cui è evidente il distacco del popolo romano dalle antiche credenze, e lo sfacelo della religione romana nazionale.  Si dice che la religio romana degli antichi padri fosse una "ortoprassia", (alla lettera: agire bene), consistente in un insieme di gesti e comportamenti finalizzati a preservare l'armonia del cosmo, e, con essa, il favore degli dei verso la comunità (pax deorum):fare è credere. La religione romana tradizionale è del tutto priva di slanci mistici, mentre qualche studioso ha sottolineato l'atteggiamento razionale del magistrato repubblicano nella presa degli auspici, cioè dei segni inviati dagli dei, fondamento di ogni futura intrapresa.

Questa "razionalità" distingue con ogni evidenza il credo religioso romano da altre forme religiose, come, in primis, il Cristianesimo, con i suoi mistici ed asceti di ogni epoca. Anche nell'induismo vigoreggia la tendenza verso la visionarietà, con i viaggi astrali, gli aiutatori astrali e via dicendo. Qui non si vuole passare in rassegna tutte le tradizioni religiose giudicandole sul metro della ragione intesa come parametro di veridicità: siamo ben lontani da questo scopo. Vogliamo solo sottolineare che la religione romana, almeno fino all'età repubblicana, riposava sopra questo sostrato mentale.

Nemmeno tale religione era avveniristica, come il cristianesimo o l'ebraismo, perché mentre per la prima il tempo è circolare, ed è fondato sui ritmi delle stagioni e del ciclo lunisolare, per le seconde il tempo è lineare, cioè si muove da un punto iniziale per approdare ad una ultima rivelazione: la sconfitta del sistema di cose da parte dei fedeli. A proposito si è parlato di Provvidenza divina, che, imperscrutabilmente guiderebbe l'agire storico umano verso una meta finale; si è fatta perciò molta filosofia della storia; basandosi, ad es., sui testi del monaco calabrese Gioacchino da Fiore.

Completamente diversa è la impostazione romana, che osservava il volo degli uccelli o scrutava nelle viscere degli animali sacrificati per scorgere anomalie di struttura tali da costituire un presagio avverso. Naturalmente, si può benissimo ribattere che tale atteggiamento poteva degenerare in superstizione, ma è pur sempre vero che esso manteneva un approccio per così dire oggettivo, naturalistico, alle valutazioni da trarre in sede religiosa. Ed è così che sono state criticate interpretazioni magistiche della religione romana, che sembra scevra dalla propensione alla magia. A nostro modesto avviso, ciò che distingue la via romana al divino da moltissime altre, è l'attitudine mentale razionale. Si può anzi dire che, questa via, alla fine, è puramente concettuale, rifiutando ogni incrostazione magica o trascendentale.

Esistono dei concetti nella cultura romana, che vanno studiati attentamente sia singolarmente, sia nei loro reciproci rapporti, in modo da poter desumere la visione che i Romani avevano del cosmo e dei  rapporti che gli uomini hanno col medesimo.