Dopo 50 giorni dalle elezioni politiche permangono fitte le nebbie sulla soluzione della crisi di governo.

Domani il Capo dello Stato dovrebbe indicare una nuova opzione per sbloccare una situazione repressa dagli stucchevoli tatticismi di coloro che gli elettori hanno premiato nelle urne.

Eppure, osservando dall’esterno lo scenario politico sembrerebbe che in queste settimane si siano consolidate alcune condizioni così vincolanti che i protagonisti non possono non vedere e non prenderne atto.

1.   La coalizione di centro-destra, pur se innaturale, in apparenza sembra coesa pur nel susseguirsi di contrasti sui metodi, disparità nella scelta dei partner, difformità speculative, tensioni personali.

2.   La Lega, primo partito della coalizione, anche se avrebbe la possibilità di giocare un ruolo da protagonista nella soluzione della crisi in accordo con il M5S, appare però bloccata dal oscillante vincolo/impegno a non affrancarsi da Berlusconi e FI. Secondo i sondaggisti, peraltro, l’attivismo di Salvini risulterebbe premiato da un significativo aumento dei consensi da parte del suo elettorato.

3.   Forza Italia, per contro, palla al piede della coalizione sia perché bocciata dalle urne, sia perché la sua storia non è compatibile con il cambiamento chiesto dagli elettori, dimostra invece, giorno dopo giorno di avere un potere aggregante così incisivo da poter condizionare anche le velleità di autonomia manifestate dalla Lega.

4.   Il Partito Democratico, da parte sua, chiamatosi fuori finora dagli incontri con le altre forze parlamentari, ha manifestato il proposito di collocarsi all’opposizione. Solo negli ultimi giorni il PD sembrerebbe aprirsi alla ipotesi di entrare in campo per dare una mano a risolvere la crisi, anche se solo dopo che il Capo dello Stato avrà affidato ad un eventuale premier l’incarico di formare il governo. Tra l’altro, nel metabolizzare il pessimo risultato uscito dalle urne si sono acuite le tensione tra le diverse anime del PD il che non facilita, di certo, la condivisione di scelte.

5.   Il M5S, probabilmente colto alla sprovvista da un successo che lo ha premiato come prima forza parlamentare, si è impelagato nella scelta di attivare il “doppio forno” con Lega e PD per cercare un accordo di governo. Trattandosi, però, di due entità oggettivamente alternative tra loro per politiche, programmi e numeri, il tatticismo dei “due forni” è apparso subito più strumentale che non effettuale. Peraltro, secondo i sondaggisti, questo tatticismo non è gradito all’elettorato del movimento, e frena in queste settimane ogni possibile incremento dei consensi.

Osservando questo scenario, desunto dalle cronache, sarebbe ragionevole cercare di comprendere:

a.   come mai, dopo 50 giorni, Di Maio aspetti ancora Godot, continuando a blandire con ostinazione, anche in queste ore, Salvini e la Lega che hanno dimostrato finora, ed in più occasioni, di non potersi distaccare da Berlusconi;

b.   se il M5S abbia valutati i rischi di formare un governo con la Lega che per quanto concerne la politica estera, ad esempio, è su posizioni inconciliabili con quelle dichiarate dal movimento;

c.   quali conseguenze, pur di formare un governo con la Lega, potrebbe avere la opzione di trascinare a rimorchio la coalizione di centrodestra imbarcando nell’esecutivo anche alcuni ministri berlusconiani. Non bisogna essere chiaroveggenti per prevedere che in questa ipotesi il M5S si immolerebbe in un suicidio collettivo mortificando militanti ed elettori;

d.   se, persistendo con ostinazione a guardare solo verso la Lega, il M5S non pregiudichi, inevitabilmente, ogni margine di intesa con il PD, ovverosia con il secondo forno, che a ragione non tollererebbe di essere la ruota di scorta, tirata in ballo solo dopo che Di Maio si sia finalmente convinto della impossibilità di Salvini a staccare la spina da Berlusconi.

Sarà pure vero che la politica è l’arte del possibile, e spesso anche dell’impossibile, ma esiste un Paese reale al quale di tatticismi, ambizioni personalistiche, vincoli più o meno irriferibili, nun gliene po’ frega' de meno.

I cittadini nel loro quotidiano sono afflitti da penose difficoltà che in campagna elettorale era stato promesso loro di rimuovere ed hanno dato il loro voto a chi aveva spese queste promesse.

Non resta che confidare nel Capo dello Stato augurandosi che la sua decisione, attesa per domani, sia definitiva e risolutiva per uscire da una non più tollerabile paralisi politica ed istituzionale.