Si svolgerà dal 27 novembre al 2 dicembre, con partenza da Fiumicino la sera del 26, il viaggio apostolico in Asia, dove Papa Francesco visiterà prima il Myanmar e successivamente il Bangladesh.

Le comunità cristiane, ed in particolare cattoliche, nei due paesi, a maggioranza buddhista il primo e a maggioranza musulmana il secondo, sono molto esigue. Solo poche centinaia di migliaia di di credenti, per ciascuna nazione, può dirsi seguace della Chiesa di Roma.

Ad entrambe le nazioni, Francesco ha rivolto un messaggio in cui afferma di venire "a proclamare il Vangelo di Gesù Cristo, un messaggio di riconciliazione, di perdono e di pace". Il Papa, oltre a portare il proprio sostegno alla comunità dei credenti cattolici, non ha mancato di ricordare la sua intenzione di poter incontrare l'intera popolazione del Myanmar e del Bangladesh per "promuovere la reciproca comprensione e il rispetto, e a sostenersi l’un l’altro come membri dell’unica famiglia umana."

Francesco, probabilmente, proverà a mediare tra i due Stati per risolvere la questione del popolo Rohingya, di religione musulmana, che occupa da sempre una porzione del territorio della ex Birmania, senza che però sia riconosciuto ad esso alcun diritto. E non solo. Da alcuni mesi, i Rohingya in Myanmar sono oggetto di persecuzioni che li hanno costretti a fuggire verso il confine del Bangladesh, creando un campo profughi di fortuna in cui le condizioni di vita sono a dir poco disumane e, pertanto, insostenibili.

In una nota pubblicata oggi da Amnesty International, l'Ong accusa apertamente lo Stato guidato di fatto dal premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, Primo ministro (ufficialmente Consigliere di Stato) e ministro degli Esteri, di praticare un regime di apartheid nei confronti del popolo Rohingya. San Suu Kyi che nei giorni scorsi ha pure espresso la considerazione che l'immigrazione illegale diffonde il terrorismo.

Difficile, approfittando di questa visita sia in Myanmar che in Bangladesh, non ritenere che il Pontefice non colga l'occasione per provare una mediazione che possa risolvere il dramma del popolo Rohingya.