In attesa di conoscere i contenuti in dettaglio della "manovra del popolo", che entro la mezzanotte dovrà approdare nella casella di posta della Commissione europea, a meno di clamorosi ripensamenti e inimmaginabili voltafaccia - nei confronti delle promesse fatte fino a ieri ai loro elettori - i tecnici di Bruxelles, in base a quanto finora anticipato, respingeranno quanto verrà loro presentato dal Governo guidato dal premier Conte.
Ufficialmente lo sapremo entro il 22 ottobre, perché la Commissione Ue ha una settimana di tempo per leggere i bilanci, identificarne le eventuali difformità in base agli impegni di ogni Stato rispetto alle direttive europee e rendere note le proprie preoccupazioni all'Italia.
L'Italia del cambiamento, come è facile prevedere, si farà un baffo delle raccomandazioni di Moscovici e soci che, di rimando, entro due settimane dalla ricezione, come da prassi, respingeranno ufficialmente la manovra, indicando a Roma motivi e correzioni da apportare. Tutto ciò entro il 29 ottobre .
Il 5 novembre si riuniranno i ministri delle Finanze dei 19 Stati membri dell'euro, il cosiddetto Eurogruppo, con Tria, nel caso sia ancora al suo posto, che dovrà spiegar loro le ragioni dell'Italia.
Il 19 novembre scadrebbe poi il periodo di tre settimane previsto per l'invio di una manovra corretta e rivista da spedire al giudizio della Commissione che, a sua volta, avrebbe poi tempo fino al 10 dicembre per accettarla o respingerla.
Quindi, ufficialmente, si saprà solo a metà novembre o a metà dicembre se l'Italia andrà o meno al muro contro muro con l'Europa.
In caso che non ci siano accordi sulla manovra, probabilmente entro la prima settimana di febbraio la Commissione Ue pubblicherà le sue previsioni economiche fino al 2020 per i singoli Stati, dando il via alla procedura che potrebbe aprire la strada a sanzioni contro l'Italia, nel caso di una notevole diversità tra i dati dell'Ue e quelli presentati dal governo del nostro Paese.
A questo punto la Commissione potrebbe aprire una procedura di deficit eccessivo nei nostri confronti che, per motivi tecnici, non scatterebbe che ad aprile 2019, quando ormai mancherebbero solo poche settimane alle elezioni del Parlamento europeo, che si terranno a maggio.
Ed in fondo, Lega e 5 Stelle a questo puntano. I due vicepremier hanno progettato che mettersi a litigare con l'Ue, non avrà conseguenze sul piano delle sanzioni perché la Commissione è al termine del suo mandato e, inoltre, la lite finirà per essere pure un volano promozionale per il voto di maggio, con la quasi certezza che poi la nuova Commissione sarà guidata o influenzata dai populisti che non si metteranno certo a prendere in considerazioni penalità e multe contro l'Italia.
Tutto a posto quindi? Salvini e Di Maio sono stati astuti e fortunati tanto da potersi far beffe di Juncker e dei suoi commissari? Parrebbe di sì, anche se i due vicepremier del cambiamento sembrano aver dimenticato, nel loro piano, due aspetti che sono comunque inevitabili.
Il primo è relativo al 13 dicembre, quando il consiglio direttivo della Bce terrà una riunione sulla politica monetaria in cui annuncerà la chiusura del programma di acquisto dei titoli del debito pubblico (e non solo) dei vari paesi dell'eurozona.
Il secondo è che dal 2 gennaio, quando i mercati riapriranno, il debito dell'Italia sarà alla mercé della speculazione degli investitori finanziari che agiranno anche sulla base del giudizio a cui i nostri titoli verranno sottoposti dalle agenzie di rating entro fine ottobre.
Lo spread BTP/Bund viaggia ormai stabilmente intorno a quota 300 punti. Con le nuove tensioni che inevitabilmente seguiranno alla lite tra Italia e Bruxelles, tale valore non potrà che aumentare e a gennaio non ci sarà neppure più la Bce a fare da filtro sui mercati. A quel punto mancheranno 5 mesi alle elezioni.
Realmente credono, Salvini e Di Maio, di poter ignorare questa spada di Damocle che regna sulla sostenibilità dei nostri conti?