Ogni giorno, un terzo degli over 65 italiani ingoia più di dieci farmaci. Una politerapia quotidiana che solleva una domanda scomoda ma necessaria: servono davvero tutti questi medicinali, o ci stiamo nascondendo dietro l’automatismo delle prescrizioni?

A dare una risposta concreta è stato un progetto sperimentale dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. L’obiettivo? Ridurre il carico farmacologico inutile o dannoso negli anziani fragili, attraverso una rigorosa revisione delle terapie – la cosiddetta medication review – e la sospensione mirata dei farmaci non più indicati, ovvero il deprescribing.

 
I numeri parlano chiaro

Nel progetto veronese sono stati coinvolti 70 pazienti ultraottantenni, ricoverati nei reparti di Geriatria e Medicina Interna. Ogni persona assumeva in media 10 farmaci al giorno. L’équipe multidisciplinare – formata da geriatri, internisti, farmacologi clinici e farmacisti ospedalieri – ha passato al setaccio 836 farmaci in totale. Il risultato?

  • 273 farmaci sospesi, ovvero 4 in meno a paziente.
  • Riduzione del 20% del rischio di re‑ospedalizzazione entro 90 giorni.
  • Risparmio stimato di 56.000 euro annui, solo su questo piccolo gruppo di pazienti.

Tutto questo al costo di circa quattro ore di lavoro per ciascuna revisione. Tanto? Forse. Ma la differenza tra una terapia efficace e una dannosa spesso sta proprio lì.

“Il problema non è la mancanza di linee guida, ma l’inerzia prescrittiva”, afferma senza mezzi termini Gianluca Trifirò, ordinario di Farmacologia all’Università di Verona. “Deprescrivere non vuol dire abbandonare il paziente. Vuol dire fare medicina vera, personalizzata e sostenibile”.

Non è solo un problema geriatrico

Il progetto è stato illustrato durante il convegno nazionale della Società Italiana di Farmacologia (SIF), tenutosi il 24‑25 giugno al Policlinico di Borgo Roma. Tema centrale: come ottimizzare le politerapie, anche fuori dai reparti di Geriatria. Perché il problema riguarda anche i pronto soccorso, le RSA e la medicina generale.

“Oggi chi si prende la responsabilità di sospendere un farmaco ‘storico’ rischia critiche, se non denunce”, è l’amara constatazione emersa al convegno. “Ma continuare a prescrivere per abitudine è molto più pericoloso”.
 
Cosa manca per farlo diventare la norma?

Tempo: quattro ore per revisione non sono compatibili con le agende sature della sanità pubblica.
Responsabilità: nessuno vuole sospendere un farmaco e finire nel mirino in caso di complicanze.
Dati: senza un fascicolo sanitario elettronico davvero integrato, ogni revisione parte da zero.

 
Formare i medici di domani

La buona notizia è che qualcosa si muove. L’Università di Verona ha appena concluso il primo Corso di Perfezionamento in Medication Review e Deprescribing. Durante il convegno, la SIF ha premiato i migliori contributi scientifici presentati da giovani ricercatori, assegnando borse di studio da 500 euro a Gianluca Cazzaniga (Sapienza) e Massimo Carollo (Verona).

Armando Genazzani, presidente SIF, è chiaro: “La revisione delle terapie deve diventare standard. Non solo per risparmiare, ma perché così si cura meglio. Punto.”
Il messaggio che arriva da Verona è semplice e duro allo stesso tempo: se non rivediamo sistematicamente le terapie, continueremo a riempire i pazienti di farmaci inutili, aumentando complicanze, ricoveri e spese. E a farne le spese saranno proprio loro, gli anziani più fragili. Non servono miracoli: serve solo la volontà – e il coraggio – di fermarsi e rivedere, invece di aggiungere.