La poesia di Hebe Munoz è Poesia. Con la maiuscola. Partire da questo presupposto già chiarisce a cosa si sta approcciando.
In un contesto di tanta poesia fatta di pensieri versati e discorsività dei sentimenti che porta ad affermare “tutto è poesia”, si può completare l’affermazione con “ma non tutto è Poesia”.
La Poesia con la maiuscola è arte, arte di equilibrio naturale tra ritmica, musicalità, ricerca, autenticità. Senza scadere in barocchismi, in eccessi di filigrana che maschera vuoti, in linguicismi di mero esercizio fatti più per provare l’inesistenza di frustrazioni che il dispiegare voli d’anima.
Bene, anche per questo la poesia di Hebe Munoz è Poesia, con la maiuscola.
Ed è, come amava dire Neruda, poesia che si espande, ricca di sacche esperienziali e di vissuti geografici e interiori che si allargano ad orizzonti di crescita, tra migrazioni e tempo attraverso i tempi.
Nata venezuelana e cresciuta un pò tra la sua terra e un pò in Italia in un andirivieni di viavai, Hebe Munoz ha incarnato (ha fatto carne, vissuto) i colori, i sapori, i profumi di Caraibi, Ande, Tevere, Mediterraneo, Alpi sino alle indoli di un popolo giovane (quello venezuelano) e di un popolo millenario (quello italiano), con tutta la forza, l’impeto, l’allegria della latinità e tutta la maturità, la ragionevolezza, il sorriso sobrio dell’italianità. Con quel sale di solarità e quel lievito di levitazione d’anima che fanno la differenza dei grandi artisti e dei popoli che hanno conosciuto l’orizzonte del transoceanico fatto storia nel cosmo. La differenza dell’essere cultura.
Ecco, qui è tutta la cosmicità della poesia di Hebe Munoz, che scrive senza punteggiatura con una sonorità che si fa musicalità di ritmi che espandono le sue interiorità e quelle di chi la legge.
Per questo è poesia universale. E forse più. Chi la legge non solo si immedesima ma si “mota”, si viaggia e viaggia, avvia sè stesso e si via. E così rinasce, come la sua Pegasa: il sogno di essere una creatura fantastica si fa realtà nell’essere sè stessi. Sino alla prospettiva di desiderare solo quell’essere sè, accontentandosi di disegnare il possibile di quelle stelle sognate, nello stesso desiderio di altri cuori e di altre anime.
Il primo libro di Hebe Munoz non poteva che essere questo e non poteva che chiamarsi così: Pegasa, Rinata dalle acque. Sì, quelle acque che sono l’essenza della vita, su ogni pianeta conosciuto e sconosciuto di un cosmo che si abbevera di linfa vitale.
Femminile, umana, indistaccata dalla storia e dalle terre, pregna di animarsi e del volerlo, con Hebe Munoz si naviga di maree e si nuota in fonda, verso quelle stelle che ci sono, che sono nel nostro essere noi stessi e il cui ambirvi ci rende più noi senza fughe o alienazioni.
Molto più di una poesia introspettiva, assolutamente lontana da una riduttiva poesia intimista, con la grande capacità – unica nel suo genere – di non tradurre da una lingua all’altra, ma di scrivere contemporaneamente in italiano e spagnolo senza alterazioni di ritmica, di senso, di autenticità.
Ha sofferto Hebe Munoz. Ha sofferto, come tanti, i distacchi, le precarietà, le violenze. Ma, cosmicamente tesa al meglio, ha versato tutto col gusto della non resa, sino a insegnarci, con umiltà e con la danza del mettersi in gioco, che la vita può essere una bella poesia d’amare.

 

Francesco Nigri
Poeta, Scrittore
www.francesconigri.it