Suonino le trombe, rullino i tamburi... La Commissione Europea ha approvato l'erogazione della settima rata del PNRR all'Italia, pari a 18,3 miliardi di euro, che porta il totale ricevuto da Roma a 140 miliardi di euro, confermando l'Italia come primo Paese in Europa per capacità di pianificazione, attuazione e rispetto degli obiettivi stabiliti. Il fatto che l'Italia di Meloni ha finora presentato documenti ben redatti per ottenere fondi. In quanto alla realizzazione dei progetti cui tali fondi erano destinati... beh... il quadro non è dei più rosei ed è per questo che la premier ha fatto carte false perché Fitto in Europa si occupasse dei soldi el PNRR, con la finalità di far slittare oltre il 2026 la data in cui tali fondi devono essere spesi. La missione, al momento, non è riuscita.

Non solo. Un altro problema - non da poco - è il "come" i fondi del PNRR vengono spesi. Dai tigli pluridecennali di Pordenone sventrati per un nuovo polo sportivo, al bosco di via Curtatone a Gallarate raso al suolo per far posto a due scuole e un asilo, l'Italia si sta divorando i suoi alberi come se fossero un ostacolo da eliminare. Nei municipi, i sindaci sfoggiano i tronchi recisi come fossero trofei di "riqualificazione", quando in realtà stanno svuotando le città di ombra, ossigeno e bellezza.

I soldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovevano riforestare e mitigare il clima. Il risultato?

Fondi che premiano piste ciclabili tracciate sopra filari secolari e parchi trasformati in colate di cemento “a emissioni zero”. A Torino, 11,5 milioni di euro finanzieranno una cittadella sportiva nel Parco del Meisino, ma prima vanno giù cinquanta alberi maturi. Si distrugge ambiente per “fare ambiente”: è schizofrenia politica bipartisan.

La vita o la morte di un albero viene decisa quasi sempre con la Visual Tree Assessment (VTA), metodo che all'estero serve per la cura, da noi per timbrare la condanna. Pochi usano prove di trazione o indagini strumentali serie: costano, rallentano i cantieri e, soprattutto, potrebbero dire che l'albero è sano. Troppa scienza rovinerebbe il business dei tagli.

Un leccio maturo cattura circa 360 kg di CO₂ l'anno; un alberello di 8-15 cm di diametro ne blocca al massimo 16. Serve quasi mezzo secolo prima che il giovane compensi l'anidride carbonica spesa per piantarlo. Ma chi approva i progetti ragiona sul prossimo mandato, non sui prossimi cinquanta anni. Risultato: città più roventi, bollette energetiche alle stelle e, nel 2023, 12.743 morti per ondate di calore.

Le leggi? Sono state calpestate
Il decreto CAM 63/2020 che vieta le capitozzature: ignorato.
La legge 157/92 che tutela i nidi d'uccello: nessuna verifica.
La convenzione di Aarhus che richiede che i cittadini siano informati e coinvolti: nemmeno a parlarne.
L'autorizzazione paesaggistica per alberi >70 anni: più facile chiederla "a cose fatte".
Così sli esposti alla Corte dei Conti e i ricorsi al TAR fioccano, ma arrivano quando i ceppi stanno già marcendo.

A Vicenza gli attivisti hanno dormito sugli alberi del Lanerossi per fermare la TAV; in Salento si protesta contro l'ampliamento di un circuito Porsche a scapito di un bosco; a Bologna il Comitato Besta ha salvato il Parco Don Bosco dalla ruspa. La richiesta è semplice: commissioni di garanti del verde indipendenti, con tecnici veri e cittadini, non yes-men in abito da cerimonia.

La Restoration Law UE pretende "zero perdita di copertura arborea urbana" entro il 2030. Non parla di "numero di alberi piantati", ma di superficie di chioma: tradotto, contano alberi adulti, non micro-bonsai ornamentali. Un concetto ovvio, che smaschera l'ipocrisia di sostituire un platano monumentale con un virgulto di vivaio e farsi foto con la paletta in mano.

Cosa fare, subito:
Moratoria nazionale dei tagli fino a valutazioni strumentali indipendenti.
Obbligo di bilanci climatici: ogni abbattimento deve indicare quanti gradi in più costerà al quartiere.
Sanzioni reali per chi viola i CAM: multe che facciano più male di un albero caduto su un'auto.
Partecipazione vincolante: senza assemblea pubblica e parere dei garanti, il cantiere non parte.
 
Continuare a segare alberi con la scusa di farne crescere di nuovi è come incendiare la dispensa per cuocere il pane. Stiamo pagando il conto in salute, climatizzazione e patrimonio paesaggistico. Finché chi governa tratterà il verde come un soprammobile, le nostre città saranno sempre più roventi, inquinate e ostili. E sì, bisogna dirlo chiaro: è pura idiozia, travestita da progresso.

Fonte: il Fatto Quotidiano