Ammetto che potrebbe essere un mio limite ma proprio non riesco a vedere di che compiacersi per l’accordo che i 28 leader dell’UE hanno sottoscritto a Bruxelles alle prime luci dell’alba di oggi 29 giugno.

Il leitmotiv dominante di questo accordo può essere identificato in quattro parole, semplici quanto illusorie: “solo su base volontaria”.

In altre parole è previsto, ad esempio, che i migranti che giungeranno sul territorio dell’UE, salvati in base al diritto internazionale, saranno trasferiti in centri chiusi che alcuni Stati membri potrebbero mettere in piedi però “solo su base volontaria”.

Il primo inevitabile dubbio riguarda la disponibilità, o meno, di uno o più Stati ad impiantare sul loro territorio centri chiusi, perché qualora questa disponibilità “volontaria” non si verificasse rispetto ad oggi la situazione non si modificherebbe neppure di una virgola e per l’Italia non cambierebbe nulla.

Così come non cambierebbe nulla anche per quanto concerne la ridistribuzione di quei migranti, ai quali fosse riconosciuto il diritto di asilo, che potrà essere effettuata, infatti, tra gli Stati solo “su base volontaria”, come richiesto ed imposto dai paesi del club Visegrad.

Questo pseudo accordo, per gli Stati dell’UE ancor meno impegnativo di una dichiarazione di intenti, non risolve il problema della gestione dei flussi migratori ma affida ad una presunta buona volontà dei paesi membri la soluzione caso per caso.

L’accordo, perciò, non fa altro che accogliere la peregrina idea delle “coalizioni tra volenterosi”, espressa giorni fa da Angela Merkel.

Già, proprio la “coalizione tra volenterosi” dalla quale, però, la Germania della signora Merkel si è tirata fuori nei giorni scorsi quando si è trattato di ridistribuire i migranti sbarcati a Malta dalla ONG Lifeline.

Ma non basta perché anche la richiesta italiana di considerare superato e non più attuale il Trattato di Dublino non è stata recepita nello pseudo accordo, anzi …

Il Consiglio Europeo, infatti, si è fatto imporre dai paesi Visegrad che la riforma delle regole di Dublino sia approvata non dalla maggioranza qualificata, come previsto dallo stesso trattato, bensì all’unanimità dagli Stati Membri il che vorrà dire, per i paesi est-europei contrari alla riforma, gioco facile nell’opporsi alle richieste italiane.   

Parafrasando i versi di Giorgio Gaber mi ripeto, ancora una volta, io non mi sento europeo anche se purtroppo lo sono.