I Tamimi sono una famiglia di attivisti che vive nel villaggio di Nebi Salah, in Cisgiordania. La loro colpa? È di credere che dopo più di 50 anni il popolo palestinese abbia il diritto di rientrare in possesso della propria terra.

Per questo motivo, quando il 15 dicembre due soldati israeliani, un capitano e un sergente maggiore, si sono aggirati nei pressi della casa dei Tamimi, Ahed, una ragazzina di sedici anni, ha prima iniziato a spingerli via minacciandoli verbalmente, poi è passata ai fatti prendendoli a calci e schiaffi, aiutata dalla cugina Nur e incitata dalla madre Nariman che riprendeva la scena, pubblicandola in diretta su facebook mentre incitava alla rivolta contro Israele con qualsiasi mezzo, dal lancio di pietre, agli attacchi utilizzando coltelli, agli attentati suicidi.

Tutte e tre le donne sono poi state arrestate dai militari israeliani, ed il fermo è stato convalidato per madre e figlia, con la cugina che avrebbe dovuto essere rilasciata, anche se all'accusa è stato concesso un giorno per presentare un appello che ne motivasse la detenzione.

I capi di accusa con cui è stata incriminata Ahed sono addirittura cinque e sono relativi all'aver minacciato un soldato, all'averlo attaccato, all'aver interferito nell'esercizio delle sue funzioni, all'incitamento all'uso della violenza e al lancio di oggetti contro persone o cose... riferendosi anche a fatti avvenuti nel passato, in relazione a manifestazioni e proteste.



La madre di Ahed, Nariman Tamimi, è accusata di aggressione e incitamento alla violenza per aver pubblicato e commentato sui social media gli spintoni e gli schiaffi della figlia ai soldati israeliani.

Secondo quanto dichiarato da Gaby Lasky, l'avvocato delle tre donne, al quotidiano Haaretz, "l'accusa è insolita, perché Ahed è stata arrestata per i fatti del 15 dicembre. Ma tali fatti non avrebbero giustificato la detenzione. Perciò, è stata presentata una ulteriore accusa relativa ad eventi accaduti un anno e mezzo fa, nonostante che, al tempo, nessuno li avesse denunciati."

Perché Israele ha deciso di perseguitare una ragazzina di 16 anni che, oltretutto, ha tutti i diritti del mondo per protestare contro chi gli sta rubando la vita, i sogni e il futuro?

Perché - almeno secondo il suo avvocato - la sua storia diventi esempio per chiunque altro della sua età si azzardi ad alzare la voce contro Israele. Il pugno duro contro Ahed, che rischia numerosi anni di carcere per non aver fatto assolutamente nulla, deve servire perché altri non seguano il suo esempio.