"Siamo qui al Pride Budapest per difendere la libertà e la democrazia. Siamo qui per esprimere piena solidarietà al popolo ungherese e alla comunità LGBTQIA+. Siamo qui per affermare che nella nostra Unione Europea, quando si colpiscono i diritti di qualcuno, si colpiscono i diritti di tutte e tutti noi.Siamo qui per dire che non si può vietare l'amore per legge. Non si può cancellare la nostra differenza per legge. Non si può cancellare l'identità di genere. Non si possono cancellare i nostri corpi perché esistono.E oggi li stringeremo così forte insieme, che gli odiatori non passeranno. No pasaran!"
Così, citando la "pasionaria" Dolores Ibarruri, la dem Elly Schlein ha commentato la presenza della delegazione del suo partito così come quella di altri Paesi europei che hanno supportato attiviste e attivisti di tutta Europa al Gay Pride di Budapest... manifestazione vietata per legge dal camerata Viktor Orban, esempio per tutti i (post) fascisti d'Europa... a partire da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che si contendono l'amicizia del dittatore ungherese.
Non solo. Il fascista tutto d'un pezzo che governa l'Ungheria, mentre ha messo fuori legge una manifestazione che promuove i diritti di tutte e di tutti come il Gay Pride, contemporaneamente ha invece consentito a dei delinquenti nazifascisti suoi pari, formazioni di estrema destra dichiaratamente omofobe e violente, di fare un corteo lungo lo stesso percorso del Pride bloccandone alcuni passaggi. Bene, dunque, che ci sia partecipazione e che in tante e tanti siano andati a portare sostegno e solidarietà alla comunità LGBTQIA+ ungherese.
A proposito... che cosa hanno detto i due (post) camerati (o neo missini) Meloni e Salvini in relazione ai divieti anti democratici del loro amico Viktor Orban? Niente. Silenzio.
Un silenzio imbarazzato e imbarazzante anche su un altro macigno che è franato sul governo Meloni non certo come un fulmine a ciel sereno, essendo già noto a tutti che il famoso decreto sicurezza è una porcata contra legem e contro la stato di diritto. A confermarlo, al di là di qualsiasi possibilità di appello (prima che la Consulta sia chiamata a intervenire ... cosa che accadrà sicuramente a breve), è stato l'Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte di Cassazione.
Nella relazione n. 33 pubblicata il 23 giugno, in ben 129 pagine che analizzano a fondo i 38 articoli del decreto legge Sicurezza entrato in vigore il 12 aprile 2025, l'Ufficio della Cassazione che rappresenta il "motore" del sistema giudicante ha praticamente e sonoramente bocciato la porcata partorita dal governo Meloni, vergognosamente approvata dal presidente Mattarella... uno che - ormai è chiaro - firmerebbe anche una lista della spesa pur di risultare gradito a tutti.
La relazione della Cassazione è esplicita: si rileva una forzatura istituzionale nell'uso della decretazione d'urgenza, senza alcun presupposto giustificativo reale. Né il governo ha motivato l'urgenza, né ha richiesto una procedura accelerata per l'esame parlamentare, come la Costituzione consentirebbe. L'articolo unico di conversione, che accorpa tutto il pacchetto, è visto come un aggiramento delle garanzie costituzionali sul voto separato dei singoli articoli (art. 72 Cost.), aprendo la porta a un potenziale conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – già sollevato, peraltro, dal deputato Riccardo Magi.
Il rischio? L'invalidità dell'intera legge di conversione per violazione dell'art. 77 della Carta, che impone l'immediata presentazione alle Camere del decreto-legge.
Sul merito del decreto, il giudizio della Cassazione non è più tenero. Il Massimario parla chiaro: contenuti disomogenei, norme formulate in modo vago e impreciso, aggravanti costruite in base a status soggettivi o luoghi, e un rischio concreto di discriminazioni e violazioni dei diritti fondamentali, in particolare contro migranti, minoranze etniche e soggetti vulnerabili.
La relazione evidenzia la possibile violazione di principi costituzionali fondamentali, tra cui: materialità e offensività del reato, precisione e determinatezza delle norme penali, ragionevolezza, eguaglianza e autodeterminazione, libertà di manifestazione del pensiero, particolarmente inquietanti sono le nuove fattispecie di reato e aggravanti che colpiscono il dissenso e la contestazione politica: ad esempio, si introduce un'aggravante per "danneggiamento in occasione di manifestazioni", che potrebbe trasformare il legittimo esercizio del diritto di protesta in una circostanza penalmente aggravata. Un chiaro messaggio politico: criminalizzare l'opposizione.
Nel pacchetto Sicurezza spuntano norme inquietanti anche per quanto riguarda, la gestione delle carceri e dei CPR: norme opache, senza riferimento alla legittimità degli ordini ricevuti, aprendo il campo a abusi legittimati per decreto; la disparità di trattamento nelle aggravanti: ad esempio, la sospensione condizionale della pena legata all'essere detenuto o al luogo del reato; la previsione discriminatoria dell'art. 15, che limita l'accesso agli ICAM (Istituti a Custodia Attenuata per detenute madri) solo alle donne con figli sotto l'anno di età, ignorando del tutto i casi-limite e le esigenze di tutela del minore; l'autorizzazione all'uso di armi non d'ordinanza senza licenza, senza alcuna razionalità giuridica o criminologica; lo scudo penale per gli agenti dell'intelligence, anche in caso di creazione di gruppi eversivi o terroristici "a fini preventivi": una misura senza precedenti, che crea una zona franca della responsabilità penale.
Ultimo, ma non meno grave, è l'art. 18, che vieta la commercializzazione della cannabis light. Una misura che – sottolinea la Cassazione – viola il principio del mutuo riconoscimento europeo e non ha basi scientifiche: nessuna prova dimostra che le infiorescenze con THC < 0,3% rappresentino un pericolo per la salute o la sicurezza pubblica. Si tratta, quindi, di una misura ideologica, non giuridica, che rischia l'incompatibilità con il diritto dell'Unione Europea.
Il pacchetto Sicurezza non è solo un caso politico. È un caso costituzionale. Un decreto-legge che accorpa norme eterogenee, senza urgenza, che calpesta il ruolo del Parlamento e introduce norme penali vaghe e discriminatorie, e che ha tutte le carte in regola per essere dichiarato incostituzionale, in parte o nella sua interezza.
Anche in questo caso, Meloni, Salvini e, stavolta ci mettiamo pure Tajani, non hanno detto nulla, hanno fatto finta di niente. Silenzio... il silenzio degli indecenti.