Il testo seguente è un riassunto dell'articolo pubblicato domenica da Orly Noy - redattrice di Local Call, attivista politica e traduttrice di poesia e prosa in persiano, attuale presidente del consiglio direttivo di B'Tselem e attivista del partito politico Balad - sulla rivista israeliana +972 Magazine:

Sono passati oltre 46 anni da quando ho lasciato l'Iran, la mia patria, con la mia famiglia. Avevo nove anni. Da allora, la mia vita si è svolta in Israele, dove ho costruito una famiglia e cresciuto le mie figlie. Eppure, l'Iran non ha mai smesso di essere parte di me. Negli ultimi mesi, però, questa doppia appartenenza è diventata un peso insostenibile. Da ottobre 2023, le immagini di famiglie disperate tra le macerie sono diventate routine: volti terrorizzati, pianti di bambini, case sbriciolate. Ma quando le grida che sento sono in persiano, la mia lingua madre, e le rovine sono quelle di città iraniane colpite da attacchi israeliani, il crollo interiore è totale. Pensare che sia proprio lo Stato di cui sono cittadino a causare tutto questo, è semplicemente insopportabile.Israele si è convinto di poter sopravvivere in Medio Oriente con un'unica ricetta: forza bruta, disprezzo per i vicini e guerre preventive a ciclo continuo. Da quasi ottant'anni insegue l'ossessione della “vittoria totale”: annientare i palestinesi, eliminare Hamas, sottomettere il Libano, distruggere il programma nucleare iraniano. Ogni guerra viene presentata come l'ultima battaglia prima della pace. E ogni volta, finisce per scavare una fossa più profonda. La Nakba del 1948 ha generato la crisi dei rifugiati e l'apartheid; il 1967 ha portato a un'occupazione infinita; il 7 ottobre 2023 ha scatenato un massacro che ha trasformato Israele in un paria internazionale.Il cuore di questa spirale autodistruttiva è l'esercito israeliano, ormai ridotto a macchina di distruzione insensata. Alimentato dalla propaganda interna, continua a ostentare la sua superiorità tecnologica: droni nei cieli nemici, attentati chirurgici, dimostrazioni di forza che esaltano l'opinione pubblica sedata da decenni di retorica militarista. Sotto la guida di un governo apertamente genocida, l'esercito si addentra in guerre senza uscita.Per anni, la società israeliana ha creduto di essere invulnerabile. L'esercito era la sua coperta di Linus. Chiunque mettesse in discussione questa fede veniva isolato o ignorato. Poi è arrivato il 7 ottobre: una breccia improvvisa e dolorosa nell'illusione dell'immunità. Invece di aprire gli occhi, però, l'opinione pubblica ha scelto la strada del massacro, dell'annientamento come risposta automatica. Il vecchio schema si è ripristinato: Israele uccide, i palestinesi muoiono. Ordine ristabilito.Per questo le immagini dei recenti attacchi su Ramat Gan, Tel Aviv, Bat Yam, Tamra e altre città israeliane hanno avuto un effetto destabilizzante. Quelle macerie, quei corpi estratti dalle rovine, somigliano in modo inquietante alle immagini che per anni abbiamo visto uscire da Gaza. Per un breve istante, la collettività israeliana ha intravisto il proprio destino nello specchio di Gaza: la distruzione totale non è un monopolio.Eppure, il culto della forza persiste. Un tempo esistevano leader israeliani che comprendevano il limite della strategia militare perenne. Yitzhak Rabin, per esempio, sapeva che “una nazione che flette i muscoli per cinquant'anni alla fine si sfinisce”. Oggi, invece, anche la sinistra sionista è prigioniera dell'idolatria bellica. Dopo ogni attacco, anche i partiti più moderati esultano per i successi militari, ringraziano l'intelligence, celebrano i piloti e i droni come se fossero amuleti protettivi. La destra sogna la pulizia etnica, il centro-sinistra ripone la sua fede cieca nella macchina militare. Ma entrambi condividono lo stesso delirio: l'immunità assoluta garantita dalla forza.Il punto cieco è drammaticamente semplice: non siamo immuni. Nessuno lo è. Un popolo che fonda la propria esistenza esclusivamente sulla potenza militare si condanna, prima o poi, alla disfatta e alla rovina. Non sarà l'Iran o Hamas a distruggerci. Sarà la nostra stessa arroganza cieca e l'incapacità di guardare in faccia la realtà dopo decenni di guerre e oppressione.Se non abbiamo ancora capito questa lezione, allora siamo davvero perduti.

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www.972mag.com/israels-greatest-threat-isnt-iran-or-hamas-but-its-own-hubris