Al vertice del G7, in corso in un clima già carico di tensioni internazionali, i leader europei hanno cercato di compattarsi in una strategia comune per contenere l'imprevedibilità di Donald Trump. Ma, come spesso accade, al presidente USA sono bastate poche dichiarazioni per destabilizzare l'intero tavolo diplomatico.
Prima dell'inizio ufficiale dei lavori, si era tenuto un mini summit tra la premier italiana Giorgia Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, e i vertici dell'Unione Europea Ursula von der Leyen e Antonio Costa. L'obiettivo era chiaro: trovare una posizione condivisa per non arrivare disuniti di fronte all'ingombrante presenza americana.
"Al lavoro", aveva scritto su X Macron, lasciando intendere la necessità di un fronte europeo coeso.
Ma Trump ha giocato d'anticipo. Prima dell'apertura del vertice ha incontrato il nuovo primo ministro canadese Mark Carney, e parlando ai giornalisti ha subito spostato l'attenzione: ha attaccato frontalmente la decisione – presa anni fa – di escludere la Russia dal G8, affermando che con Mosca al tavolo "si sarebbe evitata la guerra in Ucraina". Poi ha proposto l'ingresso della Cina tra i Grandi e, sull'Iran, ha ribadito che Teheran "non sta vincendo" e dovrebbe tornare a negoziare.
Queste dichiarazioni non solo hanno irritato diversi leader – incluso Carney, che ha dovuto interromperlo – ma hanno anche fatto capire chiaramente che gli USA, sotto Trump, non hanno intenzione di firmare la dichiarazione congiunta voluta dai partner europei.
In mezzo a queste crepe, Giorgia Meloni ha parlato brevemente con Trump prima della plenaria, cercando di spacciare il colloquio come un incontro bilaterale in modo da "rivenderlo" in Italia a beneficio della propria propaganda. Meloni guida la sessione del vertice dedicata al tema delle "Comunità sicure" e cercava di appropriarsi di un'iniziativa di cessate il fuoco su Gaza, che – secondo fonti della propaganda melonia– avrebbe ricevuto qualche apertura dai partner europei.
Carney, nel suo discorso di apertura, aveva riconosciuto implicitamente le fratture: "Avremo una discussione aperta e franca. Forse non saremo d'accordo su molte cose, ma collaboreremo", ha detto, parlando di un mondo "più pericoloso e diviso" ma anche di una "possibilità di plasmarlo".
Bene... dopo tutto questo, Trump ha salutato e dopo la "capatina" ha lasciato il vertice dicendo che aveva qualcosa di più urgente da fare: siglare il cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Prima di andarsene, ha dato anche un consiglio agli iraniani: quello di andarsene da Teheran il prima possibile.
In volo, sull'Air Force One, Trump ha poi rincarato la dose. Ha minacciato "la massima durezza" contro qualsiasi attacco iraniano agli interessi americani, affermando che l'Iran sa bene "di non dover toccare le nostre truppe". Ha anche ventilato l'ipotesi di inviare il vicepresidente J.D. Vance e l'inviato speciale Steve Witkoff a trattare con l'Iran, ma ha aggiunto un ambiguo: "Dipende da cosa succederà quando tornerò".
E quando gli è stato chiesto se cercasse un cessate il fuoco tra Iran e Israele, la risposta è stata spiazzante e senza mezzi termini: "Una fine, non un cessate il fuoco. Una resa totale".
In questo clima, parlare di unità internazionale sembra un esercizio retorico. Il G7, da forum di cooperazione tra potenze democratiche, si è trasformato in una sorta di umiliazione che Trump ha voluto infliggere agli altri Paesi membri... umiliazione di cui, al momento, hanno fatto di non accorgersi.
È chiaro che, quanto accaduto, conferma ulteriormente che parlare di multilateralismo è ormai solo un esercizio retorico. La politica internazionale, oggi, si gioca sulla leva della forza, dei ricatti e delle convenienze... in pratica il diritto internazionale e, in particolar modo quello umanitario, per Trump e per coloro che ne condividono le scelte politiche è solo carta straccia.