Il quotidiano Haaretz ci fa sapere che l'esercito israeliano si sta preparando alla demolizione di centinaia di case possedute ed abitate da palestinesi nel nord della valle del Giordano.

Inutile sottolinearlo, ma va comunque ricordato che l'area in questione è in Cisgiordania nei territori occupati dal 1967, ed è importante perché collega Ramallah con la Giordania e quindi l'Autorità palestinese con il mondo esterno e perché è una delle zone più fertili di tutto il territorio palestinese, se non la più fertile.

In base a quanto riporta anche l'agenzia Nena, facendo riferimento a fonti locali, sarebbero per ora circa 200 (per metà donne e bambini) i palestinesi oggetto di trasferimento forzato da parte dell'esercito israeliano. Le comunità interessate sono quelle di di Ein al-Hilweh e Umm al Jamal che hanno ricevuto comunicazioni per la demolizione di 60 abitazioni e strutture agricole. Gli ordini esecutivi riportano la data del 1 novembre, danno otto giorni di tempo agli abitanti per sgombrare dalle loro case e sono stati consegnati ai diretti interessati solo in questo fine settimana.

Qual è il motivo di questo ennesimo sopruso da parte del governo israeliano? Lo ha svelato il ministro dell’Abitazione, Yoav Galant, che mercoledì scorso ha reso noto un piano "per rafforzare le comunità ebraiche nella Valle del Giordano".

In pratica lo Stato israeliano finanzierà la colonizzazione della zona settentrionale della valle del Giordano raddoppiando il numero di coloni israeliani già presenti che da 6mila dovranno arrivare a 12mila. 37 le colonie israeliane attualmente esistenti.

Nell'area interessata allo sgombero, il numero di residenti palestinesi che prima del 1967 era superiore a 300mila si è ridotto nel tempo fino agli attuali 56mila a causa dell'espansione coloniale israeliana. Naturalmente, i coloni israeliani si sono impossessati anche di oltre l'80% delle riserve d'acqua dell'area. In tal modo, gli attuali residenti palestinesi per lo più sono costretti a fare i braccianti sottopagati per conto dei coloni israeliani.

Tutto questo, semmai ce ne fosse stato bisogno, oltre a dimostrare che non è per nulla sbagliato definire apartheid l'attuale regime israeliano, conferma la volontà di Israele di arrivare al tavolo dei negoziati, nel caso che prima o poi venga riaperto, da una posizione di forza da cui contrattare metro per metro il confine dello Stato di Israele.

Un'ultima curiosità. Parte delle terre oggetto della confisca da parte di Israele, come dichiarato da Haaretz, appartiene oltre che ai palestinesi anche alla Chiesa cattolica.