Dall’inizio del 2018 alla metà di febbraio - ci informa Save the Children - solo nell’area est di Ghouta, sono state uccise più di 600 persone e oltre 2000 sono state ferite. Ogni due giorni un’ambulanza viene attaccata e ogni tre giorni un operatore sanitario rimane ferito o ucciso.

Soltanto a febbraio, 24 strutture sanitarie sono state colpite dai bombardamenti che continuano a imperversare nell’area est di Ghouta, provocando l’interruzione dei "normali" servizi per le persone che hanno bisogno di assistenza medica, come donne in gravidanza ed interventi chirurgici non rinviabili.

Sono più di due milioni, di cui la metà bambini, le persone che continuano a vivere in aree in cui è complicato fornire aiuti umanitari, perché ne viene sistematicamente impedito l’accesso ai convogli.

Continua a crescere il numero di bambini malnutriti, mentre i pochi medici rimasti sono costretti ad operare in condizioni difficilissime, riutilizzando bendaggi su più pazienti, perché non è rimasto più nulla.

Questo è quanto contenuto nel rapporto "Voci dalle aree del pericolo" pubblicato da Save the Children in occasione del settimo anniversario della guerra in Siria. L’Organizzazione ha voluto denunciare, grazie alle testimonianze raccolte nel lavoro sul campo, quanto sta accadendo realmente nelle cosiddette "de-escalation zone", in cui non avrebbero dovuto esserci bombardamenti e dove gli aiuti umanitari avrebbero potuto accedere liberamente.

Le quattro "de-escalation zone" o zone cuscinetto, sono aree della Siria così indicate a metà del 2017 da Russia, Turchia e Iran dopo i colloqui di pace di Astana, che oltre a Idlib e Ghouta, comprendono anche Homs Settentrionale e Sud della Siria (l'area di Dara’a).

Ma nonostante ciò, a Idlib e nel Ghouta orientale, negli ultimi mesi, si sono moltiplicati, bombardamenti, violenze e morti.

Il 24 febbraio scorso, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la Risoluzione 2401 con la quale si chiedeva la fine immediata delle ostilità nell’area del Ghouta est per un periodo di trenta giorni, con l’evacuazione medica dei malati e feriti e l’ingresso dei convogli umanitari.

«La risoluzione è stata platealmente ignorata e violata in poche ore: all’unico convoglio umanitario che è potuto accedere all’area sono state sottratte la maggior parte delle forniture mediche prima che potessero essere consegnate e a causa della violenza nelle aree circostanti, il convoglio è dovuto ripartire prima che potessero essere scaricati nove camion pieni di generi alimentari.

Non un solo bambino malato è stato evacuato come previsto dalla risoluzione - ha affermato Filippo Ungaro, Direttore della Comunicazione e delle Campagne di Save the Children. - Tutte le parti in conflitto continuano a mostrare un quotidiano disprezzo per la vita dei civili e per il diritto internazionale.

Le bombe continuano a piovere colpendo case, ospedali, scuole, mercati affollati e persino i campi in cui le persone e soprattutto i bambini hanno cercato rifugio. Le Nazioni Unite hanno confermato l’utilizzo di sostanze chimiche utilizzate come armi in aree popolate. Dopo 2.557 giorni di guerra, questa è ancora la situazione in cui i bambini siriani sono costretti a vivere.»

In occasione del settimo anniversario della guerra in Siria, Save the Children vuole ancora una volta alzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle terribili condizioni di vita dei bambini intrappolati nel conflitto, attraverso una provocatoria app dal titolo "La guerra non è un gioco" (scaricabile al link www.savethechildren.it/la-guerra-non-e-un-gioco), con cui le persone vengono invitate a chiedersi cosa farebbero se la loro città e la loro casa venissero bombardate e come proteggerebbero i propri figli.

Nel Ghouta orientale, la distruzione provocata dai bombardamenti è ora ancora più grave che al culmine della crisi di Aleppo. Nel quartiere di Ein Terma, dove vivono ancora 18.500 persone, le immagini satellitari più recenti hanno mostrato che il 71% degli edifici sono stati distrutti o danneggiati ancor prima della recente intensificazione delle violenze.

A Zamalka, il 59% dell’area è stata distrutta o danneggiata e non esiste rete idrica o elettrica da almeno due anni. Le famiglie più povere, che vivono in case e baracche mal costruite, sono le più vulnerabili alla distruzione dei bombardamenti, che hanno fatto crollare i soffitti delle loro case, causando morti e feriti.

Migliaia di famiglie stanno passano la maggior parte dei loro giorni e e delle loro notti a nascondersi. Ad Arbin, una città anch'essa situata nel Ghouta orientale, ci sono 1.400 famiglie che vivono in una rete di 75 scantinati e rifugi sotterranei, più della metà senza acqua, servizi igienici o sistemi di ventilazione, che rendono i bambini vulnerabili alla diffusione di malattie.

In tutta la Siria, nell'ultimo trimestre del 2017 più di un milione di persone sono fuggite dalle loro case, con un aumento del 60% dall'annuncio delle creazione delle zone di de-escalation.

Anche un'escalation dei combattimenti nella zona di Idlib, nel nord-ovest della Siria, ha costretto oltre 385.000 persone a lasciare le proprie case da metà dicembre 2017: si tratta di uno dei più grandi movimenti di persone negli ultimi anni, con oltre 3.500 bambini sfollati ogni giorno in questa regione.

Sfollamenti di massa si stanno verificando anche in altre aree del paese dove si è intensificata l’azione militare: circa 30.000 persone sono fuggite delle loro case ad Afrin, da gennaio 2018 in seguito all'invasione dell'esercito turco, e molte altre sono ancora sfollate e vivono in condizioni precarie dopo la fuga dalle offensive dello scorso anno intorno a Raqqa e Deir-ez-zour.

Quanto sta avvenendo ha gravi ripercussioni sulla qualità della vita dei sopravvissuti e, soprattutto, delle persone più deboli a cominciare dai bambini, che soffrono di malnutrizione e dei problemi ad essa collegati, aggravati dall'impossibilità di poter fornire loro aiuti umanitari in modo regolare e assistenza sanitaria adeguata.