Hamas ha comunicato ufficialmente di aver completato le consultazioni interne e con le altre fazioni della resistenza palestinese riguardo all'ultima proposta di tregua avanzata dai mediatori per porre fine all'offensiva militare israeliana su Gaza.
In un messaggio pubblicato via social, il movimento ha dichiarato di aver inviato una risposta positiva, affermando di essere "pienamente pronto ad avviare immediatamente un ciclo di negoziati sul meccanismo per l'attuazione di questo quadro".
Prima di questa dichiarazione, Hamas aveva già fatto sapere tramite il proprio canale Telegram di essere impegnato nell'esame della proposta, ribadendo che qualsiasi accordo di cessate il fuoco dovrà garantire il ritiro delle truppe israeliane, l'ingresso regolare di aiuti umanitari e una tregua duratura. Secondo fonti arabe, Hamas si sarebbe detto disposto a discutere anche questioni fino a ieri considerate tabù: l'assetto politico di Gaza nel dopoguerra, il disarmo della milizia e persino l'esilio di alcuni suoi esponenti coinvolti negli attacchi del 7 ottobre.
La proposta sostenuta dagli Stati Uniti prevede un cessate il fuoco della durata di 60 giorni, il rilascio di 10 ostaggi israeliani ancora vivi, la restituzione dei corpi di 18 ostaggi deceduti e un ritiro parziale delle Forze di difesa israeliane (Idf) dietro la linea Morag, recentemente istituita tra Rafah e Khan Younis. Questo schema, riportato dall'agenzia palestinese Maan, rappresenterebbe un primo passo verso una possibile de-escalation, ma rimane da vedere se tutte le condizioni saranno accettate da entrambe le parti.
Il presidente statunitense Donald Trump ha commentato la situazione affermando: "Vedremo cosa accadrà", lasciando intendere che per Washington la priorità rimane il ritorno a casa degli ostaggi israeliani. Anche il capo di stato maggiore delle Idf, Eyal Zamir, ha ribadito che "la campagna a Gaza non è finita" e che riportare gli ostaggi in patria è un dovere non ancora assolto, linea condivisa anche dal premier israeliano Benyamin Netanyahu.
Mentre le diplomazie lavorano, sul terreno la guerra continua. Fonti degli ospedali di Gaza affermano che almeno 64 persone sono state uccise questo sabato dalle forze israeliane. Gli attacchi delle Idf hanno avuto luogo in tutta l'enclave assediata, tra cui Khan Younis, Nuseirat e la città di Gaza. Il numero di palestinesi uccisi nel tentativo di procurarsi cibo ha ormai superato quota 700. Questo accade in un luogo dove la disidratazione forzata e la fame sono diffuse. La gente soffre, costretta a razionare il poco cibo a disposizione. Molte famiglie non mangiano. Le madri saltano i pasti per assicurarsi che i loro figli abbiano abbastanza cibo.
A rendere ancora più esplosiva la situazione è il nuovo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. Il documento accusa direttamente diverse multinazionali di "trarre profitto dal genocidio a Gaza" e di alimentare un'economia fondata sull'occupazione, l'apartheid e ora sulla distruzione sistematica della popolazione civile palestinese.
Tra le aziende menzionate ci sono nomi pesanti come Lockheed Martin, Leonardo, Fanuc, Caterpillar, Volvo, IBM, Microsoft e HP. Il rapporto prende di mira anche il programma Horizon Europe della Commissione europea, accusato di facilitare la cooperazione tra università europee e istituti israeliani ritenuti complici delle violazioni del diritto internazionale.
Secondo Albanese, "la complicità denunciata da questo rapporto è solo la punta dell'iceberg" e non sarà possibile interrompere l'attuale dinamica senza una responsabilizzazione penale anche del settore privato. Le sue accuse aggiungono ulteriore pressione su governi e istituzioni internazionali già criticate per l'inerzia davanti a una crisi umanitaria di proporzioni sempre più gravi.
E a che cosa è servita l'aggressione dello Stato ebraico su Gaza? Non certo ad eliminare Hamas.
Secondo Avi Issacharoff, analista politico militare di Yedioth Ahronoth, il movimento di resistenza palestinese non è stato affatto sconfitto. Il noto commentatore israeliano ha sottolineato che lo sforzo delle Idf ha "raggiunto il suo limite" e che proseguire senza una visione politica non porterà a una vera fine della guerra.
Issacharoff ha fatto notare che Hamas continua a ricostruire le sue infrastrutture e a reclutare giovani, anche nelle zone abbandonate dalle forze israeliane.
"Il cambiamento radicale che Israele sperava di ottenere con l'operazione Carri di Gedeone non si è verificato. Hamas non è stata sconfitta".
Issacharoff ha anche criticato quella che ha descritto come la "retorica vittoriosa" di alcuni ufficiali del Comando meridionale dell'esercito israeliano, che hanno indicato lo smantellamento di Hamas e la distribuzione di milioni di razioni alimentari come successi sul campo, facendo credere che lo Stato ebraico si è assunta una responsabilità civile nei confronti degli abitanti di Gaza, un qualcosa che ha evitato di fare per decenni.
Issacharoff ha sottolineato che Hamas è riuscita a mantenere un obiettivo chiaro: la "sopravvivenza", e ci sta riuscendo nonostante gli attacchi. "L'assenza di un'alternativa politica è ciò che consente ad Hamas di sopravvivere e che indebolire militarmente la Striscia di Gaza non produrrà una vera vittoria".
"Un'operazione militare non è un fine in sé, ma piuttosto un mezzo per raggiungere un obiettivo politico. Se questo obiettivo non viene definito, la guerra continuerà indefinitamente, senza una soluzione e senza un orizzonte".
La realtà sul terreno resta quella di una guerra in pieno corso, con un bilancio di vittime civili che continua a salire e con pesanti accuse di crimini internazionali. La strada per la pace, se mai ci sarà, passerà non solo dai tavoli di negoziato, ma anche da una profonda revisione dei rapporti tra politica, affari e responsabilità umanitaria.