Gregorio Scribano, analista delle politiche sociali e digital strategist, è un esperto delle dinamiche demografiche italiane con un focus particolare sulla natalità, il mercato del lavoro e le politiche di welfare. Ha collaborato con istituzioni accademiche e centri di ricerca per analizzare l’evoluzione della fertilità, le condizioni socio-economiche delle famiglie italiane e l’impatto delle politiche pubbliche sulla natalità, con particolare attenzione alle conseguenze sul sistema previdenziale. Ha pubblicato numerosi studi e partecipato a conferenze nazionali e internazionali, contribuendo a delineare scenari e proposte per affrontare la crisi demografica in atto.

Il nuovo Rapporto CeDAP (Certificato di assistenza al parto) sulle nascite in Italia ha evidenziato che l’età media delle donne che diventano madri è aumentata a 33,2 anni. Quali sono, a suo avviso, le principali cause di questo fenomeno?

L’aumento dell’età media delle madri è un fenomeno strutturale in Italia, dovuto a una serie di fattori socio-economici. Da un lato, le donne investono sempre di più nella loro istruzione e carriera professionale, il che porta a posticipare la maternita fino a quando non si raggiunge una maggiore stabilità economica. Dall’altro, la precarietà lavorativa, l’insicurezza abitativa e la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia contribuiscono a ritardare la decisione di avere figli. Inoltre, la mancanza di un adeguato sostegno pubblico per le giovani coppie rappresenta un ulteriore deterrente alla natalità precoce.

Il rapporto evidenzia che soltanto il 60,1% delle madri riesce a mantenere un impiego lavorativo. Quali misure potrebbero migliorare ulteriormente questo aspetto?

Nonostante il dato sia in aumento rispetto agli anni precedenti, è ancora insufficiente rispetto ad altri Paesi europei. Per migliorare la conciliazione tra lavoro e maternità, sarebbero necessarie politiche di welfare più incisive, come l’estensione del congedo parentale, incentivi alle aziende per favorire la flessibilità lavorativa, agevolazioni fiscali per le madri lavoratrici e un potenziamento dei servizi per l’infanzia, in particolare gli asili nido.

Il rapporto mostra una disparità tra donne italiane e straniere nell’accesso alle visite ostetriche precoci. Quali sono le cause di questa differenza?

La disparità nell’accesso alle visite ostetriche precoci è legata a fattori culturali, linguistici e socio-economici. Le donne straniere spesso hanno una minore familiarità con il sistema sanitario italiano e, in alcuni casi, incontrano difficoltà nel ricevere informazioni adeguate sulle cure prenatali. Rafforzare le campagne informative multilingue, migliorare l’accesso ai servizi sanitari e potenziare i consultori familiari potrebbe contribuire a ridurre questo divario.

Il rapporto evidenzia anche il crescente ricorso alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Quali implicazioni ha questo dato sulla società?

Il ricorso alla PMA è aumentato di circa il 5% in un solo anno e di oltre il 73% nell’ultimo decennio, confermando la tendenza alla maternità tardiva. Questo fenomeno ha implicazioni sanitarie, sociali ed economiche, in quanto molte coppie si affidano alla tecnologia per concepire. È fondamentale garantire un accesso equo a questi trattamenti, investire in ricerca sulla fertilità e promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza della prevenzione dell’infertilità.

I dati mostrano che il 50,4% delle gravidanze con PMA si conclude con un parto cesareo e che il 19,2% delle madri con età superiore ai 40 anni ricorre a queste tecniche. Quali sono i rischi e le sfide future?

L’elevata incidenza di parti cesarei nelle gravidanze da PMA rispetto alla media nazionale (30,3%) suggerisce la necessità di monitorare con attenzione i protocolli clinici adottati. Inoltre, il ricorso alla PMA aumenta con l’età delle madri, con il 19,2% delle donne sopra i 40 anni che ne fa uso. Questo dato impone una riflessione sulle politiche di prevenzione dell’infertilità e sulla necessità di una maggiore informazione riguardo alla fertilità e ai limiti biologici della procreazione tardiva.

Il dato sugli aborti spontanei, che colpiscono quasi il 20% delle donne prima di avere un figlio, resta ancora poco discusso. Come si potrebbe affrontare meglio questo tema?

L’aborto spontaneo è un evento traumatico che spesso viene sottovalutato. Sarebbe importante promuovere un maggiore supporto psicologico per le donne che lo vivono, aumentare la ricerca sulle cause e garantire un’assistenza sanitaria più efficace. Inoltre, sensibilizzare l’opinione pubblica su questo fenomeno potrebbe aiutare a ridurre il senso di isolamento vissuto da molte donne.

In che modo l’aumento dell’età media delle madri riflette la crisi della natalità in Italia e quali politiche potrebbero incentivare una maternità più precoce?

L’aumento dell’età media delle madri in Italia, che ha raggiunto i 33,2 anni, è un chiaro indicatore della crisi della natalità nel paese. Questo fenomeno è principalmente legato a fattori socio-economici che spingono le donne a posticipare la maternità, come l’investimento crescente nell’istruzione e nella carriera professionale, la precarietà lavorativa, la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, e l’insicurezza abitativa. Questi fattori, uniti alla mancanza di un adeguato supporto pubblico, come politiche di welfare efficaci per le giovani coppie, contribuiscono a ritardare la decisione di avere figli.

Per incentivare una maternità più precoce, sarebbe fondamentale adottare politiche che migliorino la stabilità economica delle famiglie, come una maggiore accessibilità e qualità dei servizi di assistenza all’infanzia, l’introduzione di politiche salariali più favorevoli e la promozione di contratti di lavoro più stabili. Inoltre, un sistema di welfare che offra maggiori incentivi fiscali, agevolazioni per le coppie con figli, e una riforma del congedo parentale potrebbe aiutare le donne a conciliare meglio vita familiare e carriera. Infine, politiche abitative che facilitino l’accesso alla casa potrebbero ridurre le difficoltà pratiche che le giovani coppie affrontano nella decisione di avere figli.

Una diretta conseguenza del calo delle nascite è l’innalzamento dell’età pensionabile fino a 70 anni, il che non consente un adeguato turn over. Quali potrebbero essere le conseguenze di questa dinamica e quali misure si potrebbero adottare per mitigare gli effetti?

Il basso tasso di natalità ha conseguenze dirette sulla sostenibilità del sistema previdenziale e sulla produttività del Paese. Con un’età media dei lavoratori che si attesta intorno ai 55 anni in molti settori, rischiamo un mercato del lavoro sempre più statico e meno competitivo. Per mitigare questo fenomeno, sarebbero necessarie politiche che incentivino il ricambio generazionale, come la staffetta generazionale, incentivi all’assunzione dei giovani e una maggiore integrazione tra welfare familiare e occupazionale.

In conclusione, quali politiche ritiene necessarie per invertire il trend della natalità in Italia?

È necessario un approccio strutturale e integrato. Occorre migliorare la conciliazione tra lavoro e famiglia, aumentare i sostegni economici per le famiglie con figli, potenziare i servizi per l’infanzia e promuovere una cultura che valorizzi la genitorialità. Inoltre, investire nella stabilità lavorativa dei giovani e garantire politiche di sostegno alla natalità a lungo termine rappresentano azioni indispensabili per contrastare il declino demografico e garantire un futuro sostenibile al Paese.