In una riflessione di Sopoćko sulle perfezioni divine, possiamo leggere:

 «Penetrando le cause prime ed i motivi dell’opera divina, vediamo la misericordia come fonte di ogni azione esteriore. Perché se qualcosa è dovuta alla creatura, è soltanto in virtù di un disegno precedente. Siccome non è possibile risalire in questo modo all’infinito, occorre soffermarsi su quello che dipende unicamente dalla volontà della Trinità, quindi, dalla divina misericordia. In ogni opera di Dio, a seconda del nostro modo di vederla, è possibile vedere le perfezioni divine. Prendiamo l’esempio di Mosè che è stato salvato e messo in una cesta sulle acque del fiume Nilo. In generale, indipendentemente da qualsiasi circostanza, lo chiameremo frutto della bontà di Dio. Nella misura in cui facciamo notare il disinteresse di Dio che non aveva alcun bisogno di salvare il bambino e che il bambino non l’aveva meritato, sarà un’opera di generosità divina. Il fatto che Mosé sia stato salvato perché, per mezzo di lui, Dio aveva deciso di condurre gli Israeliti fuori dall’Egitto, sarà giustizia divina. Il vegliare sul bambino abbandonato nel fiume ed esposto a diversi pericoli, sarà attribuito alla provvidenza divina. Infine, l’aver sollevato il bambino dalla miseria, dall’abbandono e da numerose mancanze, come anche il dono della perfezione sotto forma di condizioni adeguate di vita, crescita, educazione, istruzione, sarà opera della divina misericordia. Siccome in ogni momento, citato in quest’esempio, ci colpiscono la miseria del bambino e le diverse mancanze, possiamo dire che la bontà divina è misericordia che crea e dona; la generosità divina è misericordia che colma di doni in abbondanza senza alcun merito da parte nostra; la provvidenza divina è misericordia che veglia; la giustizia divina è misericordia che premia al di sopra dei meriti e punisce al di sotto delle colpe commesse; infine l’amore divino è misericordia che ha pietà della miseria umana e ci attira a Sé. In altre parole, la misericordia divina è il movente principale dell’azione divina all’esterno e quindi si trova alla fonte di ogni opera di YHWH»[1].

 In questa formula “YHWH”, che aveva deciso di condurre gli Israeliti fuori dall’Egitto”, menzionata molte volte dal Nostro nelle opere, troviamo l’affermazione religiosa fondamentale dell’Antico Testamento (cf. Es 20,2; Dt 5,6; Sal 81, 1; 114). Bisogna sottolineare però, che la rivelazione stessa del Dio nell’Antico Testamento pronto ad abbassarsi e discendere, non ha nulla a che vedere con una falsa confidenza. Diremo che la rivelazione di Dio misericordioso è indissolubilmente legata alla sua santità, alla superiorità che sovrasta tutta la realtà terrena, alla sua magnificenza e alla sua sovranità. Osserviamo, dunque, che quando Mosè pone la domanda a Dio qual è il suo vero nome, ottiene la risposta misteriosa: «Io sono colui che sono» ( Es 3,14)[2]. 

In seguito a questa misteriosa risposta, il Dio di Israele si mostra a Mosè proclamando di essere «il Signore, il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e fedeltà» (Es 34, 6). Effettivamente, «già in principio “YHWH” rivela se stesso come misericordia. Egli tende l’orecchio dal cielo per ascoltare il lamento di un popolo di schiavi. Egli fa conoscere il proprio volto misericordioso, come quello di qualcuno capace di ascoltare e compatire»[3]. Per questo leggiamo: «quando invocherà da me l’aiuto,  io ascolterò il suo grido, perché io sono misericordioso» (Es 22,26). Paradossalmente, nel rapporto con “YHWH”, ogni forma di schiavitù, la miseria e l’oppressione diventano una occasione di benedizione. “Lo sguardo misericordioso di Dio” si posa sulle lacrime degli ultimi, dei dimenticati della terra, dei poveri. Solo Dio è capace di procurare un sollievo, una consolazione e un riscatto agli uomini. Tutto quanto diventerà più chiaro quando nella  promessa “di una terra” ad Israele, verso la quale Dio stesso lo condurrà, per un lungo cammino di attesa e conversione. Infatti: «diede loro la terra in eredità, ad Israele suo servo» (Sal 136, 21-22)[4]. 

Dalla descrizione che Dio fa di se stesso, nasce, per l’uomo, anche il compito di offrire agli altri quella misericordia che Dio ha offerto a lui. Perciò, il profeta Zaccaria scrive: «Ecco ciò che dice il Signore degli eserciti: praticate la giustizia e la fedeltà, esercitate la pietà e la misericordia, ciascuno verso il suo prossimo» (Zac 7,9). 

Ciò che sorprende nella Bibbia è che, accanto al compito di esercitare la misericordia, l’accento va posto sull’amore di Dio quasi materno per gli uomini[5], appunto: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49, 15).  Più avanti leggiamo ancora: «Egli ci trattò secondo il suo amore, secondo la grandezza della sua misericordia» (Is 63,7.15)[6]. Sottolineiamo che in questi brani si parla sempre di Dio “Padre”, ma non mancano nella Scrittura espressioni che permettono di considerarlo anche “Madre”. Potremo dire si, sono espressioni di una tenerezza che hanno riscontro quasi esclusivamente nel “femminile”.

Secondo Sopoćko, il nostro pensare Dio è molto impreciso e imperfetto[7], anche perché «nessuno ha mai visto Dio» (Gv 1,18). La verità è che sulla terra non possiamo creare un concetto preciso su di Lui, come, altronde scriveva l’apostolo Paolo: 

 «Adesso vediamo come in uno specchio, in immagine; ma allora vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente, come perfettamente sono conosciuto» (1 Cor 13,12).

 Il testo citato mette in luce la possibilità di conoscere Dio attraverso il riflesso della sua bontà e misericordia nello “specchio” delle cose create[8]. Il teologo polacco lo chiama: «lo specchio orizzontale, nel quale a volte si vedono solo le sfumature o le ombre delle cose create che conservano la dimensione del mistero della Trinità»[9]. 

Vale la pena sottolineare che «negli ultimi decenni, nella teologia cattolica, così come in quella evangelica, si è verificato infatti, anche in seguito a stimoli provenienti dalla teologia ortodossa, un cambiamento interessante, che ha portato a riscoprire il mistero della Trinità e a riconoscere che essa costituisce la chiave per comprendere la fede cristiana»[10]. 

Questa riscoperta della dottrina trinitaria è presente in Sopoćko nel Possiamo conoscere Dio nella Sua misericordia (1949)[11]. Tanto è vero che il Nostro ha cercato la comprensione della fede cristiana in chiave del mistero della Trinità. La sua riflessione inizia dalla “eterna verità” che: «ό θεός άγάπη έστίν» (1 Gv 4,8-16). In questa prima lettera di Giovanni, Sopoćko ha trovato il riassunto dell’amore di Dio e il pieno quadro sulla misericordia[12]. Dobbiamo dire, però, che «da questa proposizione non è certo possibile dedurre la professione di fede nella Trinità, né essa può essere risolta in una verità razionale. Essa, può essere concepita, nel senso dell’assioma: fides querens intellectum - cioè la fede che cerca di comprendere, come una preposizione in sé non contraddittoria agli occhi della fede, ma come una verità di fede dotata di senso ed essere così fatta oggetto, sempre alla luce della fede, di un tentativo di comprensione»[13]. 

Possiamo trovare questo tentativo della comprensione della fede anche nel Diario della figlia spirituale di Sopoćko, la quale in un certo momento umilmente “trae le somme” dicendo semplicemente che: «Dio è sempre misericordia»[14], ponendo l’accento forte che qui si “tocca” l’incomprensibile mistero della Trinità. 

Esattamente, nell’approccio al mistero della Trinità, il concetto della misericordia comprende la verità sull’amore di Dio. Le due nozioni non sono staccate, ma formano un’inseparabile unità, sono due aspetti dell’unica realtà delle Tre Persone. L’amore costituisce la sorgente, la fortezza e l’ispirazione della misericordia, dando la possibilità di una realizzazione concreta all’operare. Per questo motivo, l’amore irraggiungibile si lascia catturare nella misericordia di Dio[15]. 

Don Gregorio - prof. sac. Grzegorz Stanislaw Lydek

 

[1] M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. I, pp.15-16.
[2] «Martin Buber e Franz Rosenzwei traducono: “Io sarò qui come colui che sarà qui”. In questo modo viene reso il carattere misterioso, inafferrabile e in fondo inesprimibile del nome di Dio»: M. Buber, Moses, in Werke 2, München - Heidelberg 1964, pp. 62-66: citato in  W. Kasper, Misericordia, p. 76.
[3] R. Virgili, La misericordia di Dio nel Primo Testamento, in Misericordia. Volto di Dio e dell’umanità nuova, Aa.Vv., Paoline, Milano 1999, p. 13.
[4] Ibidem, p. 16. Infatti, «gli Israeliti, oltre un deserto di fame e di stanchezza, di scorpioni e serpenti, là troveranno un paese bagnato da un fiume e coltivato di viti. Là potranno costruire le loro case, prendere moglie e marito, generare figli e figlie. Là il Signore darà la pioggia dal cielo per la fertilità della terra. Là potranno sognare. La terra è il dono fondamentale che il Signore dà al suo popolo»: L. A. Schökel, Salvezza e liberazione: l’Esodo, EDB, Bologna 1997, pp. 130-134.
[5] Notiamo che «alcuni dettagli dei linguaggi utilizzati nei testi sacri non possono passare inosservati, perciò occorre una precisazione a proposito del significato dei termini: compassione e misericordia. Facendo questa premessa, vogliamo chiarire che il verbo rachàm (LXX = eleêin), indica la pienezza dell’amore misericordioso di Dio; dalla stessa radice deriva il sostantivo rechèm, che viene tradotto con il “grembo materno” in cui il bambino viene formato e portato prima della nascita» (cf. Is 49,15). Le rachamìm sono invece le “viscere amorose di Dio”. I LXX traducono, per lo più, con ta splànchna (σπλάγχνα), che nel greco extra-bi-blico indicano le interiora e soprattutto il cuore, il fegato, i polmoni e i reni dell’animale offerto in sacrificio. Le “viscere” significano, innanzi tutto, le viscere materne, ma la parola esprime anche l’amore che un padre ha per il figlio (cf. Sal 103,13; Lc 15,20) o la misericordia vitale e viscerale che Dio prova per Israele (cf. Is 63,7.15; Ez 39,25) ed equivale a un legame di sangue. Il verbo chanan (nei LXX talvolta eleêin) indica l’atteggiamento “grazioso” di Dio, con un’eventuale sfumatura di pietà. Il sostantivo chen vuol dire grazia, cor-dialità, benevolenza non tanto come sentimento, ma come soccorso che pro-viene dall’esterno; il verbo chèssad (ebr. דסח “bontà”) esprime misericordia, provare pietà; il sostantivo derivato chèssed (LXX: éleos; derivato: eleemosyne, che nei LXX è l’equivalente dell’ebraico tzedaqà: “giustizia”) indica la fedeltà amorosa di Dio alla propria alleanza. Il sostantivo éleos ed i suoi derivati nei LXX sono riferiti 236 volte a Dio e solo 60 all’uomo»: G. Ravasi, II cantico della misericordia, in “Parola Spirito e Vita” 29(1994/1), p. 80. Nella lingua ebraica, infatti, i testi nei quali si parla di “misericordia” hanno dietro di sé il termine ebraico rahamìm che ha ovviamente un significato plurale; infatti al singolare, rehem significa “utero” e al plurale, invece, rahamim indica genericamente i “visceri”: cf. M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. IV, s.e., Paris 1967, pp. 19-21. 
[6] Cf. ibidem, vol. IV, p. 181: cf. T. K. Szałkowska, Tajemnica Miłosierdzia, p. 76.
[7] Cf. M. Sopoćko, Poznajmy Boga w Jego Miłosierdziu, p. 18: Miłosierdzie Boże wzgledem grzeszników, artykuł, AZSJM, Myślibórz 1948, pp. 104-105; Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. I, pp. 52-53. 
[8] Cf. M. Sopoćko, Miłosierdzie Boga w dziełach Jego, vol. I, p. 49.
[9] Ibidem, p. 57.
[10] W. Kasper, Misericordia, p. 140: Der Gott Jesu Christi, s.e., Mainz 1982, pp. 31-38.
[11] Vedi M. Sopoćko, Poznajmy Boga w Jego Miłosierdziu, pp. 21-25.
[12] Cf. ibidem, pp. 21-22: Gods is Mercy, p. 9. 
[13] W. Kasper, Misericordia, p. 141.
[14] F. Kowalska, Diario - la misericordia divina nella mia anima, n. 1, 29, 159, 197, 278, 281, 302, 328, 408, 469, 589, 658, 718, 751,815, 853, 1682, 1823.
[15] Cf. H. Wejman, Zbawcza wartość duchowości miłosierdzia, p. 31. «Va ricordato anche che la concezione della fede, elaborata dall’apologetica e dalla specificità del collocamento del tema della fede all’interno dello schema delle demonstrationes, ebbero il loro punto di riferimento d’indubbia autorità nella Dei Filius, costituzione sulla fede cattolica del Concilio Vaticano I»: L. Žák, La riflessione sulla fede nella teologia fondamentale, in “Lateranum” 78(2007), pp. 56-57. Le linee essenziali che hanno guidato il passaggio dall’Apologetica cattolica alla Teologia fondamentale possono rintracciarsi, ad. es., in H. Bouillard, De l’apologétique à la théologie fondamental, in “Le Quatre Fleuves” 1(1973),  pp. 23-31: C. Colombo, Dall’apologetica alla Teologia fondamentale, in “Teologia” 6(1981), pp. 232-242; R. Latourelle, Nuova immagine della Teologia Fondamentale, in Problemi e prospettive di teologia fondamentale, R. Latourelle - G. O’Collins (a cura di), Queriniana, Brescia 1982, pp. 59-84; D. Tracy, Necessità e insufficienza della Fondamentale, in ibidem, pp. 41-58; R. Latourelle, Teologia Fondamentale: storia e specificità, in Dizionario di Teologia Fondamentale, R. Latourelle - R. Fisichella (a cura di), Cittadella Assisi 1990, pp. 1248-1257; G. Lorizio, Teologia Fondamentale, in La teologia del XX secolo: un bilancio, G. Canobbio - P. Coda (edd.), Città Nuova, Roma 2003, vol. I, 391-499; P. Sguzzardo, Storia della teologia fondamentale, in Teologia Fondamentale, G. Lorizio (a cura di), vol. I, Città Nuova, Roma 2005, pp. 237-339; C. Colombo, Dall’apologetica alla Teologia fondamentale, in “Teologia” 6(1981), pp. 17-19; G. Colombo, Magistero e teologia, in “Teologia” 16(1991), p. 111; L. Sartori, Recenti proposte di teologia fondamentale, in “Studia Patavina” 38(1991), pp. 235-238.