Un sarto, un amore proibito e i tumulti del Biennio Rosso. Lo scrittore fiorentino Stefano Terraglia scava nel passato per restituire voce a un avo dimenticato, in un libro che è un viaggio potente e malinconico nei primi decenni del Novecento.

Ci sono storie che la polvere del tempo sembra aver cancellato per sempre, vite comuni travolte dagli ingranaggi della Storia e confinate nei silenzi dei racconti familiari. Poi, a volte, arriva un narratore che sente il dovere di spazzare via quella polvere, trasformando un nome sussurrato in un protagonista, un'ombra in un'anima viva. È questo il piccolo miracolo che compie Stefano Terraglia con il suo nuovo, intenso romanzo, "L'ultimo fiore".

L'opera ci trasporta in una Firenze inedita e inquieta, quella del 1919-1920. La Grande Guerra ha lasciato cicatrici profonde, l'eco mortale della Spagnola non si è ancora spenta e le strade sono percorse da un'elettricità palpabile, tra scioperi e tensioni politiche. In questo scenario si muove Pasquino, un sarto tornato dal fronte che cerca faticosamente di riannodare i fili della propria esistenza. Ma il suo non è solo il dramma di un reduce; è quello di un uomo stretto in una morsa, diviso tra il dovere verso la famiglia e una passione travolgente e proibita, che minaccia di mandare in frantumi il suo fragile equilibrio.

Ciò che rende "L'ultimo fiore" un'opera di rara potenza è il suo cuore pulsante di verità. Pasquino, infatti, non è un personaggio di pura finzione, ma il bisnonno dell'autore. Partendo dai frammenti di un racconto familiare tragico, Terraglia, di professione scrittore e regista ma anche infermiere con una profonda sensibilità per la fragilità umana, veste i panni del detective della memoria. La sua ricerca lo porta a immergersi negli archivi, a sfogliare le cronache ingiallite dei giornali dell'epoca, ricostruendo non solo il percorso di un uomo, ma l'anima di un'intera città in un momento di svolta cruciale.

Il risultato è un romanzo che avvince e commuove, scritto con uno stile attento ai dettagli, capace di evocare atmosfere e dipingere con poche, esatte pennellate i tormenti dei suoi personaggi. Senza mai svelare il mistero che avvolge il destino del suo protagonista, Terraglia costruisce una tensione narrativa che tiene il lettore incollato alla pagina, facendolo interrogare su temi universali come la colpa, il fato e la ricerca della felicità in un mondo che sembra averla bandita.

"L'ultimo fiore" è più di un romanzo storico: è un atto d'amore verso le proprie radici e un omaggio a tutte quelle "anime silenziose", come le definisce l'autore, la cui vita non è finita sui libri di storia ma che, non per questo, è stata meno degna di essere vissuta. Una lettura consigliata a chi ama le storie dense di umanità, quelle che, una volta chiusa l'ultima pagina, continuano a risuonare a lungo dentro di noi.

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