Cinque anni e mezzo dopo i primi casi di polmonite atipica a Wuhan, l’Organizzazione Mondiale della Sanità è arrivata alla stessa, frustrante conclusione: l’origine di SARS‑CoV‑2 resta un mistero aperto. La nuova relazione indipendente del Scientific Advisory Group for the Origins of Novel Pathogens (SAGO), pubblicata questa settimana, mette in fila tutto ciò che la scienza sa (e soprattutto ciò che non sa) sul salto di specie che ha innescato la pandemia.

Il documento è tecnico, ma il messaggio per i profani è brutale: mancano ancora i dati grezzi – in particolare quelli custoditi nei laboratori e negli archivi cinesi – e senza di essi nessuna ipotesi potrà essere chiusa in modo definitivo.

 
Il mandato e i limiti dell’indagine
SAGO era nato con un compito chiaro: capire come e dove il virus è passato all’uomo, per ridurre il rischio di prossime catastrofi. Il gruppo ha analizzato migliaia di pubblicazioni, documenti interni ai governi, audit di biosicurezza e interviste con ricercatori di tutto il mondo.

Eppure, molti “crusciali dataset” – cartelle cliniche dei primi pazienti, registri dei laboratori di Wuhan, protocolli di campionamento animale – non sono mai stati condivisi. Senza quei tasselli, qualunque ricostruzione resta un puzzle con il buco al centro.

 
Le quattro piste e perché due sono già quasi morte
Il rapporto passa al setaccio quattro scenari:

Ipotesi Stato delle prove
1 Spillover zoonotico naturale Maggior numero di evidenze; non definitiva
2 Incidente di laboratorio Non esclusa; servono dati interni ai lab di Wuhan
3 Contagio tramite catena del freddo Estremamente improbabile
4 Manipolazione intenzionale e rilascio Priva di riscontri genomici o sperimentali


Sui punti 3 e 4 SAGO è lapidario: niente evidenze. Non c’è traccia di un virus ingegnerizzato né di un’infezione partita da carne surgelata.

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    Dove puntano oggi le frecce degli scienziati

Spillover dagli animali selvatici

  • SARS‑CoV‑2 è parente stretto di coronavirus di pipistrelli raccolti in Cina e Laos (RaTG13, BANAL‑52), pur non essendone l’antenato diretto.
  • Analisi ambientali al mercato ittico Huanan (HSM) hanno trovato insieme tracce genetiche del virus e DNA di animali suscettibili (cani procioni, zibetti).
  • Il problema: l’animale “paziente zero” non è mai stato individuato. Campioni retrospettivi su fauna selvatica e allevamenti, eseguiti dopo gennaio 2020, sono arrivati tardi e con metodi poco trasparenti.

Errore di laboratorio

  • SAGO ammette che la pista non si può archiviare.
  • Manca l’accesso ai registri di biosicurezza, ai database di sequenze virali cancellati e ai protocolli di lavoro dei laboratori di Wuhan (WIV e CDC urbano).
  • Finché i dossier restano chiusi, l’ipotesi rimane tecnicamente “viva”, anche se nessuna prova concreta la supporta.

Cosa sappiamo davvero – e cosa no

  • Mercato Huanan: epicentro di un cluster, non necessariamente dell’origine. Decine di casi precoci non avevano contatti con il mercato.
  • Genetica del virus: il famigerato sito di clivaggio della furina – la “firma sospetta” del 2020 – compare in altri coronavirus animali; non è prova di manipolazione.
  • Tracciamento animale: test su oltre 80 000 campioni in Asia non hanno trovato infezioni pre‑2020; ma le lacune nei protocolli impediscono di depennare lo spillover.

 
Il nodo politico

SAGO non usa giri di parole: senza cooperazione cinese la caccia all’origine resterà impantanata. Le richieste di accesso a campioni, documenti interni e registri clinici sono rimaste al palo per “motivi di sovranità nazionale”. Il gruppo avverte che «l’incapacità di colmare le lacune informative ha già indebolito la preparazione globale alla prossima emergenza».

 
Perché questa storia conta ancora

Capire da dove è arrivato SARS‑CoV‑2 non è un esercizio accademico. Identificare la fonte:

  • chiarisce se esistono ancora serbatoi animali pronti a riaccendere focolai;
  • impone standard di biosicurezza più severi (o smentisce allarmismi infondati);
  • modella le politiche di sorveglianza su mercati, allevamenti e laboratori di alta sicurezza.

Finché l’origine resta ambigua, la prevenzione si muove al buio.


Il rapporto SAGO non regala verità consolatorie. Dice schiettamente che spillover naturale è oggi l’ipotesi con più indizi, ma senza prove definitive; incidente di laboratorio resta aperto per scarsità di dati, non per evidenze a favore. Tutto il resto è fantascienza o statistica spinta.

La palla ora è nei campi dei ministeri della salute, dei ricercatori e – inutile negarlo – dei governi che ancora bloccano l’accesso ai dati. Finché i documenti resteranno chiusi nei cassetti, il mondo resterà in stallo, più vulnerabile alla prossima pandemia di quanto dovrebbe essere nel 2025.

Tradotto: qualcuno, prima o poi, dovrà consegnare quei registri. Altrimenti ci ritroveremo qui di nuovo, stupiti, quando il prossimo virus avrà già fatto il salto.