A inizio anni, i centri studi dei principali istituti di ricerca, sfornano dati facendo bilanci sull'anno trascorso e previsioni su quello a venire. Nel suo bollettino economico n.1, di gennaio 2016, Bankitalia vede l'economia globale sempre esposta a rischi, ma non è preoccupata per l'Italia. Secondo Bankitalia la domanda interna inizia a sostenere la ripresa supplendo in parte al calo delle esportazioni per la debolezza dei mercati extraeuropei. Inoltre, positivo anche il recupero del ciclo manifatturiero e positivi gli sviluppi del mercato del lavoro con una riduzione, addirittura, della disoccupazione giovanile! L'inflazione, ricorda Bankitalia, è un po' bassa ma è dovuto al calo dei prezzi dei prodotti energetici. Positivi i valori relativi all'acquisto di titoli da parte di investitori esteri, cui va aggiunto un miglioramento delle condizioni dei prestiti bancari cui ha conseguito un "rafforzamento" a quelli del settore privato ed un aumento a quelli delle imprese. Per gli anni a venire il PIL si attesterebbe intorno all'1,5% per i prossimi due anni, purché continui il supporto all'economia da parte della BCE e del governo. Insomma, secondo Bankitalia la situazione è positiva e se qualcosa dovesse andar male sarà da attribuire al "rallentamento delle economie emergenti". Per sostenere gli scenari positivi ipotizzati è necessario però che in Italia e nell'area euro venga mantenuta "la fiducia di famiglie, imprese e operatori finanziari". Auspicio che per l'Italia è da tradursi in una nuova ed estenuante azione di propaganda basata su discorsi privi di contenuti, che sono la specialità del presidente Renzi. Da Bankitalia, passiamo al Centro Studi di Confindustria (il CSC). Anche in questo caso i dati per il futuro del paese non parrebbero pessimisti. Per il biennio a venire il PIL è dato a +1,4% nel 2016 e +1,3% nel 2017. I posti di lavoro "creati" arriveranno ad un totale di 815mila. E "si tratta di numeri prudenti, dettati dallo scollamento tra alcune evidenze e informazioni e le statistiche rilasciate dall’ISTAT"! Però, di tutta questa positività, il CSC non pare essere convinto fino in fondo, poiché afferma che "il vero rebus è il mancato decollo della ripartenza italiana", assegnando soprattutto all'evasione il blocco dello "sviluppo economico e civile perché penalizza l’equità, distorce la concorrenza, viola il patto sociale, peggiora il rapporto tra cittadini e Stato e riduce la solidarietà". E adesso passiamo alla CGIL che con la pubblicazione del secondo numero dell'Almanacco dell'economia parla di rischio stagnazione per l'Italia "sempre più evidente". La CGIL ha elaborato un proprio indicatore cui ha dato il nome di IriDE, acronimo per Indice di Ripresa della Domanda Effettiva. Come funziona? IriDE valuta l'andamento economico misurando il "rapporto tra la variazione della domanda interna (misurata come somma di consumi e investimenti) e la dinamica della produttività e del benessere (misurata con il Pil pro-capite)". Il risultato di questa misurazione è un indicatore che dà un valore di oscillazione tra 1 (cresita) e -1 (decrescita). Nell'ultimo trimestre del 2015 questo valore è pari a 0 (zero) ed equivale a stagnazione. In pratica, il paese non cresce! La percezione della fase di stagnazione è attenuata da un aumento dei consumi delle famiglie, ma potrebbe peggiorare se le esportazioni dovessero ulteriormente diminuire. Il potere d'acquisto delle famiglie, sempre secondo la CGIL, è dovuto ad un aumento del potere d’acquisto realizzato grazie ai rinnovi contrattuali, la cui tendenza dovrebbe essere incrementata da parte del governo. Invece, la crisi occupazionale è ancora molto forte poiché l’incremento dei posti di lavoro nel 2015 è stato di poco superiore alle 200.000 unità, con 70 mila occupati come lavoratori permanenti e 115 mila a termine. Per tornare ai livelli pre-crisi "restano