Sono 23 le organizzazioni promotrici dell'appello "Mai più fascismi". Tra queste l'UCEI (Unione delle Comunità ebraiche italiane), l'Unione degli universitari, la Rete degli studenti medi, la Rete della Conoscenza, il movimento LGBT, la Rete NOBAVAGLIO, la Rete della pace, la Tavola della Pace... oltre all'Anpi e ai sindacati.

Insieme a sindaci e presidenti di regione provenienti da tutta Italia, sabato 24 febbraio, a Roma, parteciperanno alla manifestazione nazionale "Mai più fascismi - Mai più razzismi".

Questo il programma della giornata:

- concentramento alle ore 13.30 in Piazza della Repubblica;
- avvio del corteo e arrivo in Piazza del Popolo alle ore 15;
- sul palco allestito nella piazza ci sarà l'attore Giulio Scarpati;
- elenco gli interventi: lettere e racconti di partigiane e partigiani letti da studentesse e studenti, testimonianza di un giovane migrante, esibizione dei Modena City Ramblers, messaggio video della Senatrice a vita Liliana Segre;
- concluderà la Presidente nazionale ANPI, Carla Nespolo.


Per commentare l'evento, questo mercoledì è stata intervistata per RadioArticolo1, il segretario della Cgil Susanna Camusso. Quelle riportate di seguito sono alcune delle sue dichiarazioni.

«Gli effetti di una globalizzazione non governata, non pensata e lasciata alla logica della pura libera circolazione dei capitali e delle merci – senza nessuna preoccupazione per il lavoro e per le condizioni delle persone – hanno generato diseguaglianze anche in luoghi dove le diseguaglianze si erano progressivamente ridotte, a partire dalla nostra Europa.

Le mancate risposte hanno prodotto un senso di solitudine diffuso, la sensazione di stare sempre peggio, di non trovare interlocutori. Questo spiega perché in troppi danno retta a chi urla e agita risposte che magari appaiono rassicuranti, ma che agiscono in realtà sulle paure, colpevolizzando chi sta peggio. Purtroppo questi fenomeni non sono passeggeri, perché da un lato mancano risposte adeguate e dall’altro si continua ad agire su quelle insicurezze che alimentano, appunto, le paure.

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Chiediamo che si applichi la Costituzione e le leggi che ne sono derivate che vietano in Italia la ricostituzione dei partiti fascisti, riconoscendo il reato di apologia del fascismo. Sono leggi che non limitano affatto la libertà, come qualcuno sostiene, ma che, anzi, sono state pensate proprio a tutela delle libertà.

Poi il sindacato, oltre a partecipare a questo importante movimento collettivo antifascista, ha un altro compito fondamentale: organizzare il disagio. Perché, oltre all’insipienza della politica che ha tollerato slogan e attacchi alle istituzioni che non andavano tollerati, c’è, come detto prima, il disagio delle persone, la mancanza di risposte, le periferie abbandonate, i lavori poveri. E allora abbiamo bisogno di ricostruire condizioni di diritto per tutti i lavoratori, qualunque sia il loro impiego.

Questo vale anche per le condizioni sociali: non può esserci una povertà che prolifera senza che nessuno organizzi collettivamente una rivendicazione di risposte adeguate. Dobbiamo tornare al significato originario della parola “solidarietà”, al suo senso mutualistico.

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Il primo grave errore politico che ha compiuto l’Europa è stato quello di aver permesso che si costruissero muri: che fossero di filo spinato o di mattoni non cambia molto. L’Europa non ha saputo sviluppare in politica internazionale un suo ruolo di portatrice di pace e mediazione nei conflitti, che sono una delle ragioni che hanno prodotto fenomeni migratori così emergenziali, legati come sono alla ricerca della sopravvivenza e alla fuga dalle guerre.

Le scelte fatte sulla Libia sono scelte sbagliate e se ne pagano prezzi pesantissimi. Per non parlare dell'accordo con la Turchia sul respingimento dei migranti. Insomma: una mancanza di visione a cui si è risposto solo con l’emergenza. La conseguenza è che non c’è stata nessuna politica dell’accoglienza, nessun governo dei flussi: chi arriva nel porto di un paese non è detto che voglia rimanere lì, magari vuole ricongiungersi a familiari che sono altrove.

Anche in questo caso la nostra storia dovrebbe insegnarci qualcosa: basterebbe che ogni tanto ci ricordassimo quanti passaporti italiani ci sono oggi in America Latina.

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Si sta perdendo il senso proprio della cultura, della relazione con gli altri e di ciò che ne deriva in termini di ricchezza, conoscenza, possibilità. Si perde memoria del fatto che tante di quelle cose spregevoli che si dicono sui migranti sono le stesse che venivano dette agli italiani quando sbarcavano in America.

Come si contrasta questa deriva? Con la forza e il coraggio di una politica che, anziché alimentare le paure, provi a pensare e a raccontare un mondo dove i diritti e i valori della cittadinanza europea siano per tutti e favoriscano l’accoglienza.»