«La mia intervista al Tg1 su #JobsAct, immigrazione e legge elettorale.» Così Matteo Renzi ha definito quella riportata di seguito... un'intervista. Giudicate voi!


La mancanza di pudore, mista ad arroganza e certezza nel fatto di credere che ormai gli italiani - tutti gli italiani - non siano più persone in grado di intendere e di volere, ha permesso al segretario del Partito Democtratico di definire intervista quella che è pura e semplice propaganda elettorale.

È vero, non è la prima volta che uno spot elettorale viene camuffato come intervista e servizio giornalistico, anche da parte della Rai, tv che dovrebbe essere pubblica ed al servizio dei cittadini.

Anzi, questo accade da più di vent'anni, ormai... almeno in maniera così evidente e sfacciata. Ma questo è sufficiente per continuare ad accettarlo... per non dire, finalmente, basta?

In un paese dove la tv pubblica fa il suo mestiere, la Gran Bretagna, un'intervista come quella fatta a Renzi (ovviamente fatta ad un politico locale) avrebbe suscitato uno scandalo a livello nazionale con possibili ripercussioni per il giornalista e coloro che lo avessero mandato in onda.

In Italia, invece, uno spot di partito viene definito servizio giornalistico. E senza pudore la signora che ha letto le domande, probabilmente concordate in precedenza, è pagata per avere, immeritatamente (in base a quanto si è visto), la qualifica di giornalista.

Il problema per lei, per il direttore del TG1, per la Rai tutta, i giornalisti, quelli veri, non sono tali per un'etichetta guadagnata non si sa bene in base a quali meriti, visti i risultati, ma banalmente per le domande che pongono all'intervistato di turno.

Infatti, da Renzi avrei voluto avere ulteriori informazioni oltre a quelle da lui fornite con delle risposte preparate ed imparate a memoria, se non asddirittura lette su un gobbo. Da Renzi avrei voluto avere chiarimenti sulla sua riforma del lavoro e sui numeri che lui si dimentica di ricordare, come avrei voluto avere dei chiarimenti su che fine fanno i migranti "salvati" in Libia oppure su come facciamo noi italiani ad aiutare gli africani a casa loro continuando a vendere armi a paesi che in Africa alimentano i conflitti o favorendo nostre multinazionali che in Africa inquinano acque e terreni.

È pretendere troppo da uno, uomo o donna che sia, che si definisce giornalista e lavora per un'azienda che annualmente riceve centinaia di milioni di euro per fare un servizio pubblico?