‹‹Ma chi ti credi di essere, Dio?››…‹‹Beh, a qualcuno dovrò pure ispirarmi, no?››. In questo brevissimo dialogo rubato a un vecchio film di Woody Allen, è riassunta la deriva acritica e megalomane dell’individuo che nella costruzione della propria identità si affidi soltanto all’imitazione, saltando a piè pari le due fasi precedenti dell’identificazione e dell’individuazione e quella successiva dell’interiorizzazione.

Nessun timore. Non è l’esordio di una lezione di psicologia in pillole. È soltanto un tentativo di richiamare l’attenzione sul tema dell’identità come un possibile criterio di ispirazione della scelta politica in un momento in cui la domanda “chi siamo e che cosa vogliamo per il nostro paese” sembra nessuno voglia porsela: non i politici e purtroppo neppure i cittadini elettori.

Passi che la politica degli Zelig resti inchiodata alla fase critica in cui l’identità per prendere la propria forma definitiva ha ancora bisogno dell’identificazione e dell’imitazione. Insopportabile invece che i cittadini siano trattati come se la perenne adolescenza fosse anche per loro la dimensione rassicurante in cui racchiudere la propria esistenza.

Non è così, dovremmo dirlo a noi stessi e agli altri in modo forte e chiaro. L’identità, come la democrazia, sono il risultato di un processo lungo, faticoso e per molti aspetti intimo, in cui gli altri di volta in volta possono farci da esempio ma non sovrapporsi a noi né imporci il loro modello. 

Il nostro paese questi traguardi li ha raggiunti: ha la democrazia e ha un’identità. Non vuole perdere né l’una né l’altra e neppure diluirle con acque che non gli appartengono. Vuole migliorarle, certo, anche attraverso il confronto con gli altri, ma non per omologarsi, bensì per esaltare la propria differenza e tornare a essere, come lo è stato, un paese da emulare. Forse lo abbiamo rimosso, ma la nostra riforma sanitaria e quella della scuola elementare sono state fonte di ispirazione per diversi e importanti paesi.

Guardare agli altri per carpirne il segreto là dove ci appaiano più capaci di noi di buone pratiche, non è un male. Anzi! Imitarli acriticamente, senza prima esserci assicurati di saper distinguere tra le pratiche buone e quelle che non lo sono, tra quelle efficaci per loro ma potenzialmente deleterie per noi, è invece molto pericoloso. Per un popolo, essere consapevole della propria identità è la premessa essenziale di ogni scelta matura: che si tratti di una riforma istituzionale, di leggi che garantiscano la sicurezza o regolamentino il conflitto di interessi, oppure di un Piano organico che tuteli e valorizzi il patrimonio artistico e paesaggistico.

Ed è anche il solo modo, davvero non ce ne sono altri, per costringere i molti trasformisti che aspirano a governare l’Italia a smetterla con le identità rubate o prese in prestito qua e là, dentro e fuori dai confini nazionali, e a forgiarne una propria. Non è detto che tutti ne siano capaci, Un’identità, ne sappiamo qualcosa, si costruisce con le lacrime, con il sangue e con l’audacia e sono davvero in pochi, nel nostro panorama politico, disposti a patire o a rischiare, interrogandosi su chi siano o vogliono essere e venendoci a raccontare le proposte che secondo loro renderebbero migliore il paese.

I più preferiscono definirsi col “noi non siamo quelli che” o invocando come “mio amico” il potente vittorioso di turno, convinti che ciò serva a rassicurare o galvanizzare. Peccato. Se infatti soltanto provassero a formulare proposte una volta tanto comprensibili e suscettibili di apparire nell’interesse del paese, non è detto che avrebbero il nostro consenso, se quelle proposte non le condividessimo, ma avrebbero il nostro rispetto. Purtroppo il reciproco rispetto come base di partenza di un percorso comune, anche se non necessariamente identico, non sembra essere nelle corde né di coloro che la politica la fanno e neppure dei tanti che la seguono con lo stesso spirito con cui assisterebbero a un combattimento tra galli.

Autenticità, rispetto reciproco e regole trasparenti e condivise. Di questo ha bisogno l’Italia. Non di andare pazza per Macron o per Obama né per chi vuole ad ogni costo somigliargli o pretendere di averli ispirati.

Se ci mostrassimo inflessibili su questi tre aspetti, daremmo un contributo decisivo a quel “nuovo” inizio di cui si parla tanto a vanvera e che “noi” sappiamo bene essere innanzitutto una buona legge elettorale.

Un sogno? 

E già, neppure Martin Luther King Jr. avrebbe osato tanto. A lui bastava ottenere Libertà e Lavoro e ciononostante ci ha rimesso la vita.

Ma il cittadino italiano non megalomane ma audace e un po’ ingenuo dovrà pure ispirarsi a qualcuno, o no?