La satira non è vista di buon occhio nemmeno in Germania, specialmente se rischia di compromettere le relazioni internazionali e di mettere a rischio accordi faticosamente raggiunti nel recente passato.

La vicenda ha avuto inizio il 31 marzo scorso, quando un comico tedesco, Jan Böhmermann, ha letto alcuni versi in cui prendeva in giro il presidente della Turchia, Erdogan, che si è sentito particolarmente offeso. Ha deciso, quindi, di comportarsi, anche in questo caso, come fa di solito in Turchia, dove sono attualmente aperti circa 1800 procedimenti penali contro persone ritenute colpevoli di aver offeso il presidente.

Pertanto, ha inviato un suo rappresentante al ministero degli Esteri tedesco con una richiesta formale di rinvio a giudizio contro Böhmermann, in base ad una legge del 1871, che punisce chi offende capi di stato stranieri. La stessa legge nel 1964 fu utilizzata contro i giornalisti di un quotidiano di Colonia, che avevano osato pubblicare un fotomontaggio dello Shah dell'Iran, e nel 1977 dall'ambasciatore cileno contro coloro che avevano appeso uno striscione sulla facciata dell'ambasciata a Bonn, con la scritta "Banda di Assassini".

La legge, però, non viene applicata automaticamente. Perché il procedimento penale abbia inizio, è necessario il via libera del governo tedesco. E questo è regolarmente arrivato nella giornata di ieri, quando Angela Merkel ha ufficialmente dichiarato che Jan Böhmermann può essere perseguito in base alle legge attualmente in vigore. Consapevole delle forti reazioni contrarie che questa decisione avrebbe scatenato, ha subito aggiunto che quella legge sarà quanto prima abrogata. A questo punto, Böhmermann, se condannato, rischia fino a tre anni di reclusione.

Le reazioni alla decisione della cancelliera tedesca non si sono fatte attendere. E' stata accusata di aver sacrificato il diritto alla libera espressione, garantito dalla costituzione tedesca, sull'altare della real politik, calpestando clamorosamente uno dei diritti umani fondamentali. La Merkel ha cercato di minimizzare il suo ruolo decisionale, sostenendo che non tocca al governo intervenire in questioni giudiziarie, ma queste devono essere risolte nel loro contesto naturale, il tribunale appunto. Una giustificazione che si scontra con la ratio della legge, che, se richiede l'approvazione dell'esecutivo, significa che conferisce a questo un potere, da cui non si può prescindere e che può indirizzarsi in un senso o nell'altro.

Ma, del resto, la Merkel non poteva rischiare di mettere in pericolo le relazioni diplomatiche con la Turchia, dopo tutti gli sforzi che aveva prodotto nel corso dei negoziati di Bruxelles, per convincere il governo turco a riprendersi i migranti parcheggiati in Grecia, dopo la chiusura della rotta balcanica. 

Molti erano contrari a questa decisione, all'interno della compagine governativa, non solo nelle fila dell'alleato SPD, ma nello stesso partito della cancelliera, che evidentemente ha ritenuto che un'eventuale crisi di governo fosse il male minore, rispetto ad un'eventuale crisi internazionale, che l'avrebbe vista contrapposta ad Erdogan.